Esattamente il 5 luglio, giorno della partenza delle giornate professionali di cinema di Riccione, l’evento estivo principale dell’industria cinematografica italiana, il presidente dell’APA (Associazione produttori audiovisivi) Giancarlo Leone ha rilasciato un comunicato stampa, cioè tramite l’ufficio stampa dell’associazione ha mandato a tutti i giornalisti alcune sue considerazioni (ovviamente a nome dell’associazione che presiede). Nel comunicato non era indicata una causa precisa per queste dichiarazioni (non vengono da un congresso o da un’occasione pubblica) e non è difficile immaginare che non siano state rilasciate a caso nel primo giorno delle giornate professionali in cui tutta la filiera del cinema è riunita e discute della stagione che arriva. Il tema della dichiarazione erano le finestre distributive e il fatto che ci sia un dibattito in parlamento sul loro allungamento a 90 giorni dopo il periodo pandemico.

APA ritiene fuorviante e dannoso per l’industria audiovisiva e cinematografica il dibattito parlamentare che tende a vietare la distribuzione di film e documentari fuori dalle sale per un periodo lungo e non più coerente con le dinamiche di mercato» – dichiara Giancarlo Leone Presidente dell’Associazione Produttori Audiovisivi. «Per questo ripropone che le opere, a partire dai documentari, possano essere distribuite su altri mezzi trascorsi 15 giorni dalla prima uscita in sala. L’approvazione di nuove norme restringerebbe seriamente le potenzialità di mercato delle opere audiovisive e cinematografiche con effetti gravi per il finanziamento e la distribuzione delle stesse».

È un tipo di opinione e una proposta in fortissima controtendenza con quello che molti operatori del settore chiedono e su cui anche la politica sembra convergere, cioè l’allungamento. Lo chiedono senza dubbio da tantissimo tempo gli esercenti, che ritengono di aver bisogno di molti più giorni in sala perché un film possa avere senso e soprattutto che se il pubblico percepisce di poter vedere un film in casa dopo poco (come ad esempio 15 giorni o anche 30 giorni) allora non c’è lo stimolo sufficiente ad andare in sala. Ma lo sostengono anche molti produttori (evidentemente non affiliati all’APA) e distributori. Non è un parere unanime, sia chiaro, ma fino ad ora non si era mai sentita addirittura una proposta di accorciare il periodo in sala dei film. Purtroppo il comunicato stringato non aggiunge altro e quindi non è dato sapere in base a quale ragionamento l’APA ritenga che finestre più lunghe (in linea con il passato) restringano le potenzialità del mercato e che invece tenere i film in sala in esclusiva 15 giorni e poi passare agli altri sfruttamenti possa aiutarli.

Era quindi abbastanza scontato che una risposta sarebbe arrivata e che sarebbe arrivata dai difensori più forti delle finestre lunghe, cioè gli esercenti nella persona di Mario Lorini, presidente ANEC. In un altro comunicato per la stampa arrivato il giorno dopo Lorini afferma tra le altre cose che

“A nostro avviso”, prosegue Lorini, “la questione andava chiusa lo scorso anno, quando si era già profilata una convergenza sui 90 giorni di prima finestra tra cinema e piattaforme. In tal modo, il Ministero avrebbe potuto dedicarsi ai tanti altri temi altrettanto se non più rilevanti: il valore e la qualità della produzione nazionale, la ripresa del rapporto con gli spettatori; le difficoltà del cinema d’autore a ritrovare il proprio pubblico; le scuole e il giovane pubblico; la stagionalità del nostro mercato; gli incentivi agli investimenti nelle strutture cinematografiche; la formazione degli operatori; le attività di promozione e comunicazione; la profilazione del pubblico; il sistema di incentivi e finanziamenti a tutti i segmenti della filiera”. 

“Sono tanti”, conclude Lorini, “gli argomenti e le azioni sui cui mettersi a lavorare tutti assieme, operatori del settore e istituzioni. Per tale motivo appaiono riduttive e fuori contesto le dichiarazioni di Giancarlo Leone, Presidente APA: la voce di una categoria che non crea prodotti per la sala né alla sala si rivolge con i contenuti del segmento audiovisivo che rappresenta. Tali dichiarazioni sulla non utilità delle window sono pertanto fuori luogo in un contesto drammatico come quello attuale del nostro mercato, e riteniamo che si commentino da sole”.

E qui comincia lo slittamento dal contenuto (allungare o restringere le finestre) al personale, cioè a questionare intenzioni e ruoli dell’altro. È significativo comunque che Lorini sottolinei come l’APA dia voce ad una categoria che non rappresenta chi crea prodotti che hanno nella sala il loro sfruttamento principale. Del resto Giancarlo Leone stesso, dopo una vita in Rai (settore televisivo) e qualche anno a Rai Cinema, ora è produttore per Q10 Media, società che non ha il proprio focus sul cinema. Era un’obiezione insomma estremamente sensata (per quanto tesa a screditare l’opinione dell’altro) ma qui tutto si fa di colpo surreale e quella che era una dialettica sul problema delle finestre svela un confronto a mezzo stampa.

Il giorno dopo arriva infatti la contro risposta di Giancarlo Leone (cosa di per sé già strana perché entrambi hanno avuto modo paritariamente di esprimere cosa pensano sull’argomento e da qui in poi possono solo attaccarsi).

«Il tema delle finestre nelle sale cinematografiche non è una ‘conventio ad excludendum’ come vorrebbe l’ANEC a proposito della titolarità dell’APA a intervenire nel merito» dichiara Giancarlo Leone. «APA rappresenta produttori di serialità la gran parte dei quali, e sono tra i principali del settore, produce anche film e documentari. Dunque, parliamo a nome di tutti loro. Forse ANEC non era aggiornata su questa situazione. Ora lo è. Non a caso il Ministro Franceschini ha convocato recentemente una riunione delle associazioni più rappresentative del settore per parlare proprio del tema finestre e APA e ANEC erano sedute una accanto all’altra ed hanno fatto le loro proposte».

APA insomma rivendica un posto a sedere che già ha (perché come dice è parte delle riunioni con il ministero al pari dell’ANEC) e non è chiaro perché ci tiene molto ad essere considerata voce cruciale quando si parla della sala, perché i suoi iscritti l’avrebbero a cuore. Cosa che non è proprio precisamente come viene messa. È vero infatti che i produttori di APA producono per tv e per cinema (ma ormai tutti lo fanno) solo che la proporzione fa sorridere. Solo nel consiglio direttivo APA di 16 nomi 11 lavorano per società televisive come Cattleya (reparto televisivo), Palomar (due membri), Banijay, Fremantle, Lux Vide, Publispei, Rainbow, Garbo e (avevano lavorato per) i canali FOX. Mentre due lavorano in società che fanno anche produzioni per il cinema. 

L’APA, abbastanza chiaramente, è guidata da chi il proprio guadagno lo fa in televisione e il cinema lo usa come strumento accessorio, spesso proprio per creare più valore nello sfruttamento televisivo. Cosa legittima e sensata ma che chiaramente rende l’associazione meno centrale quando si parla del periodo di esclusiva delle sale. Specie se arriva con una proposta controcorrente e non allineata a quelle di chi invece con il cinema ci vive e non allineata con le posizioni del parlamento (e forse, chi lo sa, in questo coinvolgimento politico sta una possibile risposta a tutto questo interesse). Ma la controrisposta di Leone non finisce qui.

«La verità – conclude il Presidente dell’APA – è che si continua a trasferire solo sul tema delle windows il dibattito sulla crisi del cinema delle sale mentre si continuano a rimuovere i problemi connessi alla qualità della fruizione e, spesso, anche del prodotto. Credo sia il caso di riportare al centro della discussione tutti i temi e non vedere nelle finestre una funzione salvifica che contestiamo fermamente».

La trasformazione in un dibattito surreale è completa. Leone lamenta che si parli troppo delle finestre quando è stato lui a far partire la discussione dal nulla, senza una causa specifica (se non l’opportunità data dall’inizio delle giornate professionali), rispondendo poi la stessa cosa che Lorini aveva già precisato, ovvero che la questione andava archiviata tempo fa perché sì, esistono temi più pressanti e su quella esiste già un accordo addirittura anche politico (allora perché lamentarsi di qualcosa per poi dire che non bisogna parlarne?). Poi prosegue ad elencare un paio di punti più importanti delle finestre come la qualità della fruizione (cioè la qualità della sala che, come abbiamo spiegato in una puntata di Insider, è un tema sempre più cruciale e non solo da noi) e paradossalmente la qualità dei contenuti. Cioè il presidente di un’associazione di produttori (che ha precisato che i suoi iscritti producono anche per la sala) dice a quello che rappresenta gli esercenti che il problema è la qualità dei film! Come se fosse una questione che non riguarda loro e di cui tutti si dovrebbero occupare invece di pensare alle finestre.

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