Il cinema e l’audiovisivo italiani sono fermi da mesi e potrebbero restarlo ancora per una questione di burocrazia, fondi pubblici da sbloccare e uffici sottodimensionati

Se nemmeno Marco Bellocchio (84 anni) ricorda un momento in cui tutti i comparti di tutta la filiera del cinema e dell’audiovisivo italiano fossero uniti e concordi su una serie di punti e riuniti nella stessa sala, si può tranquillamente sostenere che sia la prima volta che avviene. E avviene al cinema Adriano di Roma, in una convocazione generale per affrontare questioni così pressanti da compattare tutta l’industria. La sala più grande del cinema Adriano è strapiena, non entra più nessuno nonostante ci siano già persone sedute sulle scale, tra le poltrone e dietro l’ultima fila. Verrà aperta anche un’altra sala, la seconda per grandezza, in cui trasmettere quello che avviene nella prima per rispondere all’afflusso. Lo stesso le tantissime persone che intasano il foyer probabilmente non ci entreranno e di certo non ci entreranno le molte che sono fuori dal cinema, per strada. Inevitabilmente sarà poi aperta anche una terza sala ma non bastando l’incontro sarà trasmesso anche all’ingresso sui televisori in cui di solito si possono vedere film e orari degli spettacoli.

Ventuno sigle sindacali, ragazzi, scuole, stampa e rappresentanti di qualunque categoria pensabile si interessi di cinema sono presenti. Anche il catering è offerto da una società che lavora con il cinema e teme per il proprio futuro. C’è chi dice che sia stata mobilitata la polizia per via dell’accumulo non preventivato di persone. La quasi totalità dei presenti sono non noti, operatori dell’industria, maestranze, autori, reparti creativi e tecnici ma non mancano anche i più noti (Luca Zingaretti e Luisa Ranieri, Domenico Procacci, Fabrizio Gifuni, Paolo Sorrentino…). Sempre Bellocchio, il soggetto naturalmente più indicato a tenere dritta la rotta sull’attivismo e l’unità sindacale, lamenta che una certa attrice invece di venire sia andata a giocare a tennis.

Le ragioni della protesta 

A motivare la preoccupazione di tutto il cinema è la mancata approvazione di una serie di decreti attuativi che devono rendere operative le modifiche alla Legge Cinema e quindi lo stallo dei finanziamenti per il 2024. Molte produzioni sono ferme altre sono state rimandate, in tanti non lavorano, e forse non lavoreranno fino all’autunno, perché non si sa quale sia il quadro normativo al momento e quindi come muoversi. Nemmeno l’ammontare del tax credit è noto, e i contributi automatici sono fermi da 4 anni. Dietro queste prime richieste pressanti ce ne sono altre però, soprattutto dietro a tutto c’è l’ombra della contrazione. 

Dopo l’eccesso di produzione degli ultimi anni si sapeva che ci sarebbe stata una contrazione, cioè le piattaforme e le tv commissionano e investono di meno, alcune hanno smesso di investire proprio, altre come Apple non hanno mai investito nell’audiovisivo in Italia benché facciano affari con una piattaforma attiva in Italia. Quindi da che l’industria era in una situazione di piena occupazione, i costi di tutto erano aumentati (lo si è visto nei budget dei film italiani) perché la domanda di lavoro superava l‘offerta, perché le piattaforme commissionavano a rotta di collo e perché c’era anche una grandissima presenza di produzioni internazionali in Italia che prendono maestranze, ora non solo siamo in un fase di risacca ma si è anche arrivati al blocco per via dell’incertezza normativa.

Da dove viene lo stallo

È noto che il nuovo governo ha molto parlato di cambiare alcuni meccanismi di finanziamento all’industria audiovisiva, e dopo i primi proclami molto battaglieri in realtà sia il ministro Sangiuliano che poi Lucia Borgonzoni, il delegato del Ministero della Cultura per l’industria audiovisiva, hanno più volte rassicurato sul fatto che un taglio ci sarà ma non grande e che i molti meccanismi virtuosi di questi anni, come il tax credit al 35% o il sistema di contributi automatici e selettivi, non saranno cambiati sostanzialmente. Anche dal palco della protesta è stato molte volte sottolineato come Direzione cinema e Ministero abbiano dato molti segnali rassicuranti. Il problema è di ordine logistico

Dei cambiamenti infatti ci sono comunque stati e un grosso problema è che queste modifiche devono diventare operative. La cosa avviene tramite i decreti attuativi, quello strumento attraverso il quale la Direzione Generale Cinema prende l’indirizzo o le prescrizioni contenuti nella legge (e quindi anche i cambiamenti fatti) e li trasforma in procedure, bandi, date di scadenza, cifre e moduli da compilare. Li fa diventare insomma reali. Ci vuole del tempo per fare i decreti attuativi che è il problema. Spiega Andrea Occhipinti, presidente Lucky Red (quindi sia produttore che distributore), che ci sono 100 persone al lavoro alla Direzione Cinema, là dove nell’organo equivalente francese (CNC) ce ne sono 400, e che quindi non bastano. Si crea quindi un tappo. Ci sono state nuove assunzioni, spiega sempre Occhipinti, nel mese scorso sono stati formati questi neoassunti e si spera questo sveltisca le procedure.

Il problema delle media company

Non finisce qui però, perché se il blocco causato da uno stallo burocratico è il problema più pressante, ci sono molte altre richieste che vengono fatte, soprattutto per contrastare le media company, cioè quelle società che hanno dentro di sé produzione, distribuzione, vendite e canali televisivi o piattaforme di streaming. Nonostante a questo incontro fosse presente anche Rai Cinema e quindi 01 Distribution, molte richieste sono andate nella direzione di regolare il grande potere che hanno assunto i broadcaster, cioè le televisioni e le piattaforme internazionali (Rai, Vision, Medusa, Netflix, Prime Video ecc. ecc.). Quello che viene rilevato e quindi chiesto, più che altro dai produttori indipendenti che poi vuol dire i più piccoli, è che loro siano tutelati a livello di legge nel momento in cui devono trattare con queste realtà per una parte dei finanziamenti ai film.

I film infatti si finanziano anche prevendendo i diritti di sfruttamento. Invece che vendere a Rai o a Sky o a Netflix i diritti per trasmettere in esclusiva o per primo passaggio un certo film una volta che il film è fatto e finito, glieli si vende prima, sulla base della sceneggiatura e del cast, così da incassare subito quei soldi e usarli per produrre. Solo che, dice sempre Andrea Occhipinti che con Lucky Red è parte dei produttori che fanno questa richiesta, i broadcaster non sono tanti e comprendendo anche un distributore e le vendite internazionali hanno sempre il coltello dalla parte del manico, fanno delle richieste eccessive e soprattutto pretendono di avere tutti i diritti di quello che co-finanziano. 

Quello che lamentano le produzioni indipendenti è che acquistando la distribuzione per la sala (con Medusa, 01 Distribution e Vision) e poi il diritto per il primo sfruttamento a pagamento (Sky) o della vendita dei diritti per televisione gratuita (Mediaset e Rai) e poi di piattaforma (RaiPlay, Now Tv) o anche di vendita all’estero (RaiCom e Vision), di fatto succede che spesso un produttore vende tutti i diritti a un soggetto solo che a quel punto ha un potere fortissimo. Ci sarebbe più valore e più potere di contrattazione per il piccolo produttore se invece fosse obbligatorio (per legge) venderli ognuno a soggetti diversi, o almeno se a chi ha una televisione o una piattaforma fosse impedito di poter operare anche come distributore in sala. Anche perché, sempre secondo i dati diffusi durante l’incontro, così com’è la situazione ora accade che se si considerano i film italiani del 2023, l’80% degli incassi li fanno Medusa, Vision e 01 Distribution, mentre le altre distribuzioni tutte insieme fanno il 20%.

Uniti ma fino a un certo punto

Solo due momenti hanno raccolto lo spontaneo applauso di tutta la platea, segno che sono punti realmente condivisi da tutti. È stato quando è stata avanzata la richiesta che nelle commissioni ministeriali che valutano le sceneggiature per dispensare quella parte di contributi pubblici che sono selettivi e non automatici ci siano persone competenti. Quando cioè si è chiesta la presenza di sceneggiatori, produttori, distributori, lettori di sceneggiature che hanno lavorato per le televisioni o le piattaforme o di chi ha lavorato nei mercati o nelle vendite… E poi un altro applauso è scattato alla richiesta di maggiore trasparenza riguardo a quale sia la quota che i broadcaster mettono nella produzione.

Una richiesta a parte (ma sempre unitaria da parte di tutti) è stata poi fatta al governo perché preveda dei sottocontributi, cioè dei fondi a parte per la produzione dei documentari e soprattutto nel settore dell’animazione, in cui esiste un unico committente televisivo (RaiKids) a cui è stato anche tagliato il budget. Il settore dell’animazione italiano è impiegato quindi o per piccole produzioni o per produzioni straniere. È un tipo di prodotto, televisivo o cinematografico, trascurato e abbandonato (ma non da oggi) sul quale non abbiamo un presidio eppure nel quale esiste una conoscenza e una preparazione tecnica adeguata, visto che le nostre aziende lavorano per produzioni straniere.

Il settore audiovisivo in italia (quindi cinema ma anche televisione) impiega 9.000 imprese, per un totale di 65.000 posti di lavoro più tutti quelli delle filiere connesse (come ad esempio il catering che ha meno lavoro). Ha avuto nel 2022 un fatturato di 13 miliardi di euro, il 10% del fatturato totale audiovisivo europeo, e quindi siamo il quarto mercato di riferimento nel continente. Lo dicono i dati di Cassa Depositi e Prestiti. E quegli stessi dati dicono che 1€ speso nel cinema ne porta altri 3,54 di indotto. È questo un dettaglio che viene molto sottolineato durante l’incontro perché sia chiaro che non si chiede allo stato di sovvenzionare un’industria in perdita ma investire in un’industria che crea economia. Cioè fare qualcosa per lo stato, per le imprese e per l’economia, non per il mondo del cinema e basta.

La lunga coda di chiusura dell’evento è stata dedicata a chi tra il pubblico della sala principale volesse parlare. Così una lunga serie di interventi da parte di esponenti di sottocategorie e piccole rappresentanze di associazioni estremamente specifiche ci ha tenuto a sottolineare che quello che lo stato dovrebbe fare per davvero, è risolvere i loro di problemi. Uniti per la prima volta da sempre, ma solo fino a un certo punto.

Che ne pensate? Ditecelo nei commenti qui di seguito o sui nostri social, e seguiteci su TikTok.

Classifiche consigliate