In attesa dell’uscita di Creed 3, il primo film della saga di Rocky Balboa senza Sylvester Stallone, facciamo un ripasso dell’intero franchise. Oggi è il turno del film politico: Rocky IV

Ci sono ottime probabilità che il vostro rapporto con Rocky IV sia identico a quello che avete con Rambo II, e non solo perché i due film sono usciti nello stesso anno. È la continuazione del discorso che facevamo la settimana scorsa: Rocky III era un film di passaggio che traghettava Rocky Balboa e Sylvester Stallone verso il mainstream vero, e Rocky IV e Rambo II sono i film che sanciscono definitivamente questo salto, e la trasfigurazione di Sylvester Stallone da underdog che ce l’ha fatta a simbolo di un intero Paese (e dunque in qualche modo parte del sistema).

Di Rambo II e della sua scelta di alzare il volume a 11, trasformando la storia di un veterano in lotta per la sopravvivenza contro il suo stesso Paese nel racconto quasi supereroistico di un uomo solo al comando, avevamo parlato qui. Rocky IV all’apparenza non raggiunge le stesse vette di assurdità, ma a un’analisi più attenta le supera anche: stiamo pur sempre parlando di un film nel quale l’eroe pone fine alla Guerra Fredda con la sola forza dei suoi pugni.

Rocky IV Drago

Ancora scritto e diretto da Stallone, Rocky IV è, come il suo gemello bellico, riflesso del fatto che il suo autore aveva fatto definitivamente il salto di qualità in termini di notorietà, al punto che era finito a dirigere il sequel di La febbre del sabato sera su richiesta esplicita di John Travolta. Entrambi i film del 1985 hanno una caratteristica molto importante in comune: vedono il loro protagonista uscire dai confini degli USA per andare a portare la democrazia e la libertà altrove. E se nel caso di Rambo II il salto è piuttosto brusco e specchio di una sterzata netta di tono dell’intero franchise, in quello di Rocky IV è naturale, la logica conseguenza del fatto che Rocky Balboa ha dimostrato per ben tre volte di non avere alcun rivale in America, e di essere il volto ufficiale della boxe, dello sport e in generale degli States.

Con la delicatezza che solo un film uscito in piena epoca reaganiana poteva avere, la scusa per portare Rocky fuori dagli USA sono i russi. I primi tre Rocky erano film sociali; Rocky IV è fin dall’inizio un film esplicitamente politico e, soprattutto nel primo atto, sempre ai confini della parodia. Ivan Drago, il gigantesco e glaciale lottatore interpretato da Dolph Lundgren, è il primo avversario de-umanizzato della storia del franchise. È un robot, un asset, una dimostrazione della superiorità sovietica quando si tratta di allenare gli atleti.

Drago

La sua battuta più famosa, “ti spiezzo in due”, in inglese recitava invece “I must break you”, cioè “devo spiezzarti”. Senza nulla togliere alla grandiosa traduzione italiana, l’originale contiene una sfumatura decisiva: Drago non ha alcuna volontà, non combatte perché gli piace o perché ne ha bisogno o perché ha un torto da vendicare o qualcosa da dimostrare, lui combatte perché lo Stato gli ha detto di combattere e l’ha addestrato – no: creato – per quello. Come dicevamo: non un film sociale ma politico, in un modo che oggi ci sembra quasi caricaturale ma che riflette alla perfezione il clima anti-URSS che si respirava all’epoca (non a caso “i sovietici”, poi “i russi”, sono stati per anni il villain di riferimento per tre quarti di cinema hollywoodiano).

In questo senso, il combattimento tra Apollo Creed e Ivan Drago è ancora più significativo dello scontro finale a Mosca tra Balboa e Drago, quello che si conclude con la folla in delirio per lo yankee e persino Gorbaciov costretto ad applaudire il rivale. Tutti i film di Rocky hanno la stessa struttura che prevede una prima sconfitta motivante per il protagonista piazzata circa a un terzo del film. In Rocky IV a subire la sconfitta non è Rocky ma Apollo, che in una clamorosa sequenza aperta da un’esibizione live di James Brown prova a dimostrare a Drago la sua superiorità, e di conseguenza quella dell’America tutta. È qui che Stallone resiste almeno in parte alla tentazione di celebrare acriticamente gli Iu Es of Ei: la messa in scena di Creed prima del combattimento, il suo disprezzo per l’avversario, la sua intima convinzione di essere il migliore perché l’altro è solo un robot russo sono alla base della sua sconfitta, e quindi anche della sua morte.

La morte di Apollo Creed è forse il dettaglio decisivo di tutta la questione politica. Andando a Mosca a sfidare Drago, Rocky non sta solo agendo da rappresentante dell’America, ma sta cercando una vendetta molto personale; e quindi non gliene frega nulla del suo ruolo diplomatico o del peso simbolico del suo combattimento: vuole vincere perché il suo avversario ha ucciso il suo migliore amico. Il dolore è immenso e giustifica, meglio di quanto farebbe qualsiasi motivazione politica, gli estremi a cui arriva Rocky per allenarsi per questo combattimento. Vi ricordate quando prendeva a pugni i tocchi di carne e pensavamo “wow, quanto è hardcore?” In Rocky IV, il signor Balboa si allena direttamente nella neve, a torso nudo, e la tensione è tale e tanta che sembra sempre di essere a un passo dalla scena in cui Rocky fa la lotta con un orso.

Sono questi eccessi, giustificati narrativamente ma molto lontani in spirito dalle origini di Rocky, a rendere Rocky IV la prima vera pietra dello scandalo del franchise. C’è una fetta di fandom (e anche di critica) che lo odia, perché esagera nel modo sbagliato e riduce Rocky (e non solo: ricordatevi che Paulie si innamora di un robot) a una macchietta. E c’è chi risponde che ogni esagerazione, ogni assurdità, ogni scelta sopra le righe è figlia della storia raccontata, e del fatto che per la prima volta Rocky non è più solo un uomo ma un simbolo, un ambasciatore, un pezzo di America in trasferta. Il combattimento tra lui e Drago è uno scontro culturale, per quanto lui non ci voglia pensare.

Trainig

Visto quanto detto finora si potrebbe vedere Rocky IV anche come una resa da parte di Stallone: a Hollywood vogliono questa roba, vogliono le esagerazioni, e io gliele do. È un’interpretazione che non ci convince per un motivo: dietro tutti i lustrini e le paillettes, Rocky IV è un film personale e autoriale quanto i tre precedenti. L’unica differenza è che mette in scena altri aspetti della sensibilità stalloniana, uno su tutti il suo amore quasi bollywoodiano per la musica e i montaggi da videoclip usati al posto della narrazione tradizionale. Rocky IV è praticamente una playlist, e il suo secondo atto è una successione di pezzoni interrotti qua e là da sporadici dialoghi quasi da musical. E al contempo è anche più estremo dei precedenti; esagerato, anche, vista la quantità di cazzotti che Rocky prende da Drago senza perdere i sensi, ma anche molto fisico, come dimostrano le mille storie dal set che parlano di uno Stallone ospedalizzato dopo aver chiesto a Lundgren di picchiarlo sul serio per almeno quindici secondi.

Storie che Lundgren stesso dice di non ricordare, e che quindi, com’è giusto che sia, sono ormai sfumate nel mito. La stessa sorte toccata al protagonista di queste storie: magari non vi piacerà, ma Rocky IV non poteva che essere così com’è.

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