RRR è su Netflix

Il salto da film più costoso della storia del cinema indiano a caso internazionale è più complicato di quello che possa sembrare, ma a giudicare dalla quantità di attenzione (e lodi sperticate) che sta ricevendo, ci sentiamo di affermare che RRR ce l’ha fatta. Da noi è arrivato da qualche giorno su Netflix, che si sta occupando della distribuzione internazionale – saltando purtroppo, almeno dalle nostre parti, quel passaggio in sala che ci avrebbe permesso di godercelo nel contesto per il quale è stato concepito, ma questo è un altro discorso ben più ampio che non affronteremo qui. No, qui vogliamo solo parlarvi di RRR, il dodicesimo film di S. S. Rajamouli, autore che lavora prevalentemente a Tollywood e che, a giudicare da come la sua ultima opera è stata ricevuta a Hollywood e dalla natura stessa di quest’opera, finirà presto per volare in America per la sua prima esperienza “di quel genere”.

Questo però è il futuro di Rajamouli per come ce lo immaginiamo noi. Il suo presente è invece al 100% RRR, che è senza alcun dubbio il suo film più facile per un’audience occidentale e potrebbe diventare nei prossimi anni uno di quei titoli che vengono citati ogni volta che una persona chiede “vorrei avvicinarmi al cinema indiano, da dove parto?”. Usiamo l’espressione “cinema indiano” riferendoci in generale all’industria cinematografica indiana, ma l’India è un Paese talmente grande e culturalmente vario che il rischio è sempre quello di semplificare: Tollywood e i film in lingua telugu sono una cosa diversa rispetto alla più nota Bollywood e ai film in hindi (in questo senso è un peccato che RRR arrivi su Netflix doppiato in hindi e non sia disponibile in telugu).

Ma come dicevamo prima, parlare dell’industria cinematografica indiana è un’impresa che va oltre i limiti di questo pezzo.

Roar

Possiamo però parlare di storia, se volete: RRR è un film epico-storico che racconta l’immaginaria amicizia tra due rivoluzionari indiani realmente esistiti, Alluri Sitarama Raju e Komaram Bheem, che vissero in luoghi e tempi diversi ma che Rajamouli ha deciso di far incontrare, reimmaginandoli come figure ai confini con la mitologia e la deificazione. La vicenda raccontata è quindi frutto di fantasia, ma con solide radici storiche: RRR è un film nazionalista nell’accezione buona del termine, anticolonialista e che romanticizza ed esalta due figure decisive nella liberazione dell’India, elevandole al rango di semidèi. Alcuni dettagli della loro biografia sono pescati dalla realtà, ma il grosso della storia è inventato per l’occasione, un po’ come facevano gli antichi greci con i loro eroi, o se preferite come se un regista cubano facesse un film che ritrae Che Guevara come un quasi-supereroe.

Il fatto che ci sia pochissima vera storia in questo film storico non significa che RRR si muova nel reame della fantasia – tutto il contrario. Qui entriamo nel campo della speculazione, ma Rajamouli non è nuovo al successo milionario, e considerato lo spiegamento di forze in campo per il suo ultimo film non possiamo escludere che sapesse, o almeno sospettasse, che sarebbe stato quello che l’avrebbe fatto scoprire anche nel resto del mondo anche al di fuori della cerchia di appassionati. E quindi ha trasformato RRR in un film ferocemente politico oltre i limiti della caricatura, che racconta la dominazione inglese collocando i coloni poco al di sotto del livello “Sauron”. È un film che, nel momento in cui deve parlare degli invasori e degli invasi, non si fa alcun problema a esagerare, e a dipingere una lotta tra il Bene e il Male dove il Bianco è più Bianco Non Si Può e il Nero è un Nero Pece Abisso. Ray Stevenson e Alison Doody in particolare rappresentano il Male incarnato, tutto quello che di terribile l’imperno britannico ha fatto all’India per circa un secolo.

Gianfreda

Sono loro due a dare il via alla catena di eventi che porterà i due protagonisti a incontrarsi e scontrarsi nel corso delle tre ore abbondanti di durata di RRR (con intervallo previsto a metà film, per cui se volete potete vederli come due film da novanta minuti da vedere in rapida successione). Rapiscono una bambina, e questo fa entrare in azione Bheem, il guardiano del villaggio, che ci viene presentato mentre fa a cazzotti con una tigre. A sua volta l’impero reagisce a Bheem mandandogli alle calcagna Raju, poliziotto con baffo imponente che sogna di diventare un agente speciale dell’impero britannico – ma sarà davvero così, o Raju ha un’altra agenda ancora più complicata? Come da tradizione del cinema di Bollywood e Tollywood, RRR contiene tutto quanto, è un film che se fosse uscito in America si sarebbe meritato definizioni altisonanti tipo “trascende il genere”.

La verità è che RRR non fa nulla di radicalmente diverso da quello che il cinema indiano, e lo stesso Rajamouli, già fa da parecchi anni a questa parte. È vero, è un film al quale è difficile attribuire un genere: le gabbie così rigide sono una prerogativa soprattutto nostra, mentre i film che arrivano dall’India capiscono che ogni genere, ogni linguaggio ha un suo uso, un suo scopo e un suo momento. Per cui durante le scene d’azione RRR è un action, durante le scene di tortura diventa un thriller politico, e sì, durante le scene romantiche diventa una commedia romantica. Lo ripetiamo: è tutto normale (e contemporaneamente risulterà nuovo e sconvolgente a una larga fetta di pubblico che non si è mai avvicinata al cinema indiano).

Ma è anche tutto fatto straordinariamente bene: il fatto che RRR sia il film più costoso mai uscito dall’India si vede, ed è una prova di forza, una dimostrazione di come si spendono i soldi quando hai ambizioni da kolossal. A partire dalla scelta dei protagonisti: Rama Rao Jr. e soprattutto Ram Charan sono le due stelle più luminose del firmamento di Tollywood (a proposito: se volete scoprire quando è diventato famoso rivolgetevi di nuovo a Rajamouli e al suo spettacolare fantasy Magadheera), e vederli insieme nello stesso film è quasi un miracolo, visto che come ha spiegato lo stesso regista “finora non avevano mai recitato insieme perché nessuno poteva permetterseli entrambi”. Proseguendo con le scene di massa che coinvolgono una quantità di persone che fa impallidire Ben Hur, e con le coreografie delle numerose scene d’azione, al cui confronto un qualsiasi film del MCU fa la figura della recita di fine anno delle scuole medie.

RRR non è una cosa mai vista prima, e non serve conoscere intimamente l’industria cinematografica indiana per capirlo: tanto per fare un esempio, se una decina d’anni fa vi siete fatti travolgere dalla breve ma intensa moda di Enthiran non c’è nulla in RRR che vi farà esclamare “questo non l’avevo mai visto!”. Ma è un film sostanzialmente perfetto, e impacchettato nel modo migliore per distribuirlo in giro per il mondo: ha tutto quello che serve per piacere anche al pubblico internazionale, e per diventare una sorta di versione indiana di Parasite, il film che ha fatto scoprire all’Occidente che in Corea si fanno film.

RRR danza

È anche un po’ un bigino di certe caratteristiche del cinema indiano che noi tendiamo a catalogare come “eccessi”. Una bromance dolcissima ed emotivamente carica come quella tra Bheem e Raju non si vede a Hollywood dai tempi di Point Break (con il quale curiosamente la trama di RRR ha più di un punto in comune), né ci ricordiamo l’ultima volta che un attore americano con questi addominali ha pianto in favor di camera per aver deluso il suo migliore amico. Ballano e cantano, vi chiederete? Ovviamente: è parte del bagaglio espressivo del cinema indiano, ed è un modo fantastico per raccontare certe emozioni e certi fondamentali snodi di trama.

Insomma: oltre a essere un gran film (e pur non essendo il miglior film di S.S. Rajamouli), RRR è anche il film giusto al momento giusto, e tra qualche anno potremmo ricordarcelo non solo per il suo valore artistico ma anche per il suo ruolo di pioniere. Guardatelo: se doveste scoprire che vi piace sappiate che tra Netflix e Prime Video si trova molto altro cinema indiano, tra cui il clamoroso Baahubali proprio di Rajamouli.

Buon viaggio.

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