Stan Lee, il recente documentario arrivato su Disney plus, è una narrazione piuttosto lineare e molto informativa. Una cronaca ordinata e fin troppo morbida sulla vita di Stan Lee. Non è servita tutta la cautela infusa. Il film ha fatto comunque parlare di sé riaccendendo una vecchia polemica. 

Neal Kirby, il figlio di Jack Kirby, ha rilasciato una sua dichiarazione su Twitter dopo aver visto il documentario. Le sue parole, molto dure, nascono da un’antica faida.

Stan Lee vs Jack Kirby, le origini dello scontro

La questione ha origini antiche. Il metodo Marvel, raccontato anche nel documentario, è un celebre processo produttivo rivoluzionario per il mondo dei fumetti. Nel boom delle produzioni, un solo sceneggiatore non riusciva a stare dietro alle richieste. Così Stan Lee scriveva i punti salienti della trama, li dava al disegnatore che creava le tavole e l’azione con grande libertà interpretativa. Infine tutto tornava allo sceneggiatore che completava i dialoghi.

Un processo, come si intuisce, fortemente collaborativo che permetteva di produrre più rapidamente. Più storie, voleva dire più soldi per tutti. A chi dare quindi la paternità? Chi scriveva aveva un impatto sul personaggio pari a quello di chi disegnava. O, per lo meno, così sostengono i Kirby. La questione della paternità non è stata un problema per lungo tempo, perché fondamentalmente i personaggi a fumetti non hanno portato grandi profitti per molti anni. Quello che contava era lo stipendio preso “a cottimo” dai singoli numeri prodotti. Quando le cose sono cambiate, essere creatori è diventata una questione di molti soldi. 

L’accusa a Stan Lee è di essersi gradualmente “dimenticato” del metodo Marvel, attribuendosi tutti i meriti dei supereroi creati. Di aver abbellito la narrazione, spacciando come sue idee anche caratteristiche dei personaggi delineate da altri scrittori. Di essere diventato l’uomo immagine mettendo in ombra tutti gli altri. 

La dichiarazione del figlio di Jack Kirby

Nel documento rilasciato da Neal Kirby l’attacco parte da lontano. Ovvero dall’uso del pronome personale “io”. La storia del documentario è infatti raccontata in prima persona dalla voce di Stan Lee. Ma “l’ego è un velo tra gli uomini e Dio” scrive citando il poeta e teologo Gialal al-Din Rumi. Continua poi entrando nello specifico:

Stan Lee grazie a fortunate circostanze ha avuto accesso al megafono dei canali della società e ai media, li ha usati per creare il suo mito personale tanto quanto per la creazione del pantheon di personaggi Marvel. Si è reso l’unica voce della Marvel.

Aggiunge poi che la morte del padre nel 1994 non ha permesso di far sentire l’altra campana, con Stan Lee che si è imposto come volto della società. Dato il ritiro dalle scene di Kirby nei primi anni ’80, ha avuto molti anni per promuoversi, anche attraverso i cameo nei film e consolidare il suo status di creatore. Secondo la lettera, per capire che le cose non stanno così, basta guardare il suo profilo artistico.

C’è consenso sul fatto che Stan Lee abbia avuto una conoscenza limitata della storia, della mitologia o della scienza. Dall’altro lato la conoscenza di mio padre su questi temi, che posso attestare personalmente, era estesa. 

Il documentario Stan Lee ha pressoché ignorato il conflitto sulla paternità (o co-creazione) dei personaggi, concentrandosi invece maggiormente sulle tensioni con Steve Ditko.

Lee passa molto tempo parlando del perché ha creato i Fantastici Quattro, con un solo riferimento a mio padre. Molti storici dei fumetti riconoscono che mio padre ha basato i Fantastici Quattro su un fumetto del 1957 che ha creato per la DC, i Challengers of the Unknown, dando chiamando Ben Grimm in onore di suo padre Benjamin, e Sue Storm come mia sorella maggiore Susan.

La difesa di Stan Lee

Sebbene manchi una risposta da parte della famiglia Lieber, chi sostiene la buona fede di Stan Lee usa come argomento la continuità del lavoro e la fedeltà all’azienda. Jack Kirby lasciò la Marvel per andare alla DC, mentre Lee restò nella Casa delle Idee diventando parte integrante della sua promozione. In altri termini: senza il lavoro fatto per rendere la Marvel quello che è ora, non ci sarebbe nemmeno il problema di attribuzione del merito della creazione dei personaggi.

Stan Lee non era solo uno scrittore ma aveva anche una forte abilità commerciale, sapeva vendere e vendersi, capire i trend e conquistare il pubblico. In questa querelle è insomma difficile esprimersi in favore dell’una o dell’altra parte e, data la scomparsa di entrambi i contendenti, difficilmente si arriverà mai a una soluzione. 

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