Sopravvissuto – The Martian è un film che va subito al dunque. La missione Ares 3 della NASA viene investita da una tempesta di sabbia su Marte. Tutti riescono a scappare e mettersi in salvo tranne uno, Mark Watney, che viene creduto morto. Non è così. L’astronauta è rimasto da solo sul pianeta rosso e dovrà sopravvivere fino a che non arriveranno i soccorsi. Questo potrebbe non avvenire troppo presto. 

Può un film ringiovanire il proprio regista? Sì, e The Martian ne è la prova. La sceneggiatura di Drew Goddard, tratta dalla penna di Andy Weir, ha dato vita a un film che sembra diretto da un quarantenne. Un’opera che appartiene a un cinema di trent’anni fa, quello tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 in cui abbondavano le storie di sopravvivenza, di uomini soli contro la natura. Ridley Scott, il cui cinema si è formato proprio nell’epoca degli high concept (Alien ne è un grande esempio) trova con The Martian un modello di cinema classicissimo, ma perfettamente in sinergia con il suo stile. 

La cosa si spiega a partire dall’idea. Gran parte di ciò che accade in The Martian potrebbe avvenire su un ghiacciaio inesplorato o nelle cavità della terra. Il fatto che tutto si svolga su Marte è una scelta che non va a intaccare il significato stesso della storia e il percorso di crescita del protagonista. Il “concetto” alla base è la sopravvivenza in uno stato di solitudine totale, lo sforzo umano per salvarlo, l’impresa impossibile che per essere completata chiede di rompere regole, protocolli e usare la creatività. 

The Martian è un film motivazionale (un po’ da guru)

Arrivava al cinema nel 2015. Due anni prima Alfonso Cuarón faceva la stessa cosa con Gravity, dove però la sopravvivenza in mezzo allo spazio profondo viene messa in scena con la massima spettacolarità possibile. La trama è una scusa per un cinema immersivo, all’avanguardia, da valutare sulla base della sua portata spettacolare. Il film di Scott fa l’opposto, si concentra sugli uomini e sulle grandi risorse che possono tirare fuori nel momento di emergenza.

Interstellar, l’anno prima, aveva portato sul grande schermo l’esplorazione spaziale postmoderna. Christopher Nolan mandava gli uomini nello spazio per necessità: bisogna trovare una altro pianeta perché la terra è spacciata. The Martian mantiene invece lo spirito pionieristico della corsa allo spazio. Persino le operazioni di recupero dell’astronauta servono per raccogliere dati utili e far progredire i futuri progetti di viaggio e, chissà, colonizzazione del pianeta. Ingegno, fantasia, resilienza. The Martian è una grande fonte di esempi per i motivatori. Però è anche un film americanissimo, un classico esempio di fantascienza un po’ retorica e di belle emozioni.

The Martian

The Martian ha tanti problemi

Per realizzare un film che sappia essere così squisitamente classico bisogna andare alla base di ciò che rende la sceneggiatura interessante. I problemi. Sin dall’inizio i personaggi devono affrontare un’incredibile quantità di problemi. Non c’è pietà nei loro confronti, solo un istante di pace all’inizio prima della tempesta di sabbia. 

The Martian in mano a un piccolo regista indipendente sarebbe diventato un testo introspettivo, la cui direzione era verso l’interiorità del personaggio. Come Chuck Noland di Cast Away, Mark Watney è creativo, ironico e sorridente in maniera implausibile. Però affronta e risolve uno dopo l’altro una serie di problemi: come coltivare cibo, come produrre acqua? Ma anche: come muoversi da un punto all’altro del pianeta senza morire assiderato? Quali tecniche usare per comunicare con la NASA?

Sulla terra la quantità di dilemmi è la stessa: dire o no agli altri astronauti della missione che il loro compagno è vivo? Come gestire l’opinione pubblica? Una missione di soccorso va mandata? Ma a che costo? 

Questo procedere a enigmi da risolvere, a situazioni che mettono alla prova i personaggi, è quello che rende la storia appassionante. Per quanto qualche dialogo sia banale (gli scienziati sulla terra sono tutti caricaturali e rigidissimi nel loro essere in funzione del protagonista), non si può che restare incollati a una storia concepita così.

The Martian matt damon

Come Ridley Scott ha risolto i suoi di problemi 

C’è un motivo se non tutti i registi lavorano così. Più problemi hanno i personaggi, più questi arrivano ai registi. Uno grosso che ha dovuto affrontare Ridley Scott è: come rendere interessante un film su un uomo solo nel nulla? La mossa vincente è stata quella di filmare Watney non come un piagnone, ma come una persona con cui vorremmo uscire la sera. È lui che tiene su di morale gli spettatori, si muove nella sua base filmandosi, facendo battute, come se il personaggio sapesse di avere degli spettatori.

L’altra difficoltà deve essere stata farci credere tutto questo. Oltre alla ricerca di plausibilità fantascientifica all’inizio, Scott usa molto punti di vista insoliti. Ci sono tantissime inquadrature in soggettiva della tuta spaziale, ancora di più dalle videocamere della base. Quasi come se fossero immagini d’archivio prese e montate insieme in una sorta di documentario. 

Scott si appoggi poi alla colonna sonora di Harry Gregson-Williams per ribaltare ogni minimalismo. The Martian sposa la sua vocazione epica, anche grazie a un cast pieno di star, e al modo in cui è girato. Come se un piccolo problema risolto, sia dai personaggi che dalla regia, fosse un grande passo per il cinema senza tempo. Quello che fa ringiovanire i registi e che è una delizia da vedere perché intrattiene facendo soffrire e gioire con il suo sfortunatissimo uomo abbandonato fuori dal mondo.

Come Watney dice alla fine del film svelando come fare per sopravvivere su Marte: “Dovete cominciare, fate calcoli, risolvete un problema e poi risolvete il successivo e quello dopo. E se ne avrete risolti abbastanza tornerete a casa“. La stessa cosa vale per chi vuole fare cinema.

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