Torino 33 - Suffragette, la recensione
Figlio della rinnovata spinta femminista che sta rimetendo le donne al centro del mondo del cinema, Suffraggette ha senso solo in questi anni
La lenta conquista di una centralità nel cinema da parte delle attrici, e quindi dei personaggi femminili nei generi più di incasso, è una tendenza che sta prendendo piede senza clamorose dimostrazioni (anche se spesso assistiamo a discorsi in materia, si vedano gli ultimi Oscar) ma con passo incessante. Suffragette sembra un momento in questo percorso, un film che renda merito a personaggi storici che abitualmente vediamo rappresentati come macchiette divertenti mentre erano combattenti contro lo stato, il governo e la polizia. Ovviamente la storia sì concentra sull’Inghilterra di inizio secolo ma idealmente non dimentica come tutt’oggi in molti paesi del mondo quel diritto di voto per le donne per il quale ci si batteva allora ancora non esista.
Dunque è con un carico fortissimo di idee e suggestioni extrafilmiche che Suffragette arriverà in sala e viene subito da pensare che senza di queste, senza cioè un forte spirito del tempo a sostenerlo, il film sarebbe tranquillamente passato sotto silenzio e forse non avrebbe potuto nemmeno vantare attrici come Meryl Streep nel cast. Sarah Gavron con dovere e diligenza sì premura di raggiungere il pubblico più ampio possibile, cerca di non stupire nessuno ma di girare il film meno sorprendente e quindi più digeribile immaginabile. Suffragette parla di personaggi realmente esistiti ma non vuole fare “storia”, come sempre nel cinema americano preferisce fare la “storia sentimentale”, non tanto cosa è davvero successo ma soprattutto cosa hanno davvero provato e cosa subivano i personaggi in questione, quell’ampia categoria umana fazione ritratta per sineddoche attraverso poche protagoniste.In questo è efficace ma con le consuete ruffianerie che, fin da subito, fanno sì che il film si condanni da sè all’etichetta di instant movie, pronto per il dimenticatoio tra meno di un anno.