Fa particolarmente male riesaminare l’arco narrativo dello Sterminatore di Re nella sua interezza, perché visto nel suo insieme, il percorso di Jaime Lannister era ragionato, strutturato e coerente. Anzi, era uno dei più affascinanti, e fino a un passo dalla conclusione sembrava essere uno di quelli destinati a concludersi su una nota magari tragica, ma anche eroica, volta a nobilitare il personaggio. E invece… ma procediamo con ordine.

jaime lannister stagione 1

Un inizio spregevole

C’è ben poco di positivo di cui parlare nelle prime fasi della storia di Jaime Lannister: “poster boy” del casato, altezzoso, arrogante e dissoluto in privato anche più che in pubblico, perso nella relazione illecita con la sorella Cersei al punto che il primo atto per cui lo ricordiamo, e uno dei più scellerati, è quello di scaraventare giù dalla torre un innocente Bran Stark colpevole di avere scoperto la tresca incestuosa tra i due. Non va molto meglio nelle prime fasi della Guerra dei Cinque Re dove, finito prigioniero degli Stark, fa leva con strafottenza sui punti deboli di Catelyn Stark e non si fa scrupolo di uccidere a sangue freddo il compagno di prigionia e lontano congiunto pur di guadagnarsi gradualmente la libertà. In breve: un personaggio interamente e irrimediabilmente concentrato su se stesso, egocentrico e amorale.

Le cose cambiano quando l’amputazione della mano destra prima e l’incontro con Brienne di Tarth poi costringono Jaime a rivedere buona parte della sua vita e a confrontarsi con binari morali e scelte che finora aveva sempre ignorato. È l’inizio di un lungo e lento percorso di risveglio e di autoconsapevolezza che trasformeranno il personaggio in una figura molto diversa.

Nikolaj Coster-Waldau è Jaime Lannister

Risveglio morale ed emancipazione da Cersei

Una concomitanza di eventi di varia natura, nel corso delle stagioni successive, spinge Jaime su un duplice binario: da un lato il risveglio di una coscienza morale che in nuce c’era sempre stata (la macchia pubblica più grave che si porta addosso, l’epiteto di Sterminatore di Re, era comunque dovuto all’intento di evitare la strage di buona parte della popolazione di Approdo del Re da parte del Re Folle), ma che la vita di privilegi e l’influsso nefasto dell’amata Cersei avevano sempre soffocato.

Dall’altro, le intemperanze di Cersei Lannister e la sua rapida discesa in una spirale di eccessi e di squilibrio sempre più estremi paiono aprire a Jaime gli occhi sulla vera natura della sorella. Questo, unitamente a una serie di doveri e missioni che lo portano spesso lontano dalla capitale, gli permette di sottrarsi all’influsso corruttore della sorella e amante per trovare un’identità più indipendente. Arriviamo al punto di svolta della stagione 6 in cui Jaime è più o meno nello stesso punto in cui si trova nei romanzi firmati da George R. R. Martin: impegnato in una campagna militare, ***. Per la verità, il suo ‘riscatto’ nei romanzi il distacco è perfino più netto e definitivo: una lettera accorata e ossessiva di Cersei in cui lo implora di mollare tutto e di tornare da lei finisce strappata e gettata tra le fiamme. Una determinazione e una scelta molto più nette che preludono a una futura e infelice inversione di rotta nella fase finale della saga.

Nikolaj Coste-Waldau Jaime Lannister

Una settima stagione ondivaga

Giunti alle due complicate stagioni finali, il percorso di caduta e risalita finora coerente inizia a farsi… confuso. Facciamo un passo indietro e torniamo a parlare di Cersei: a suo tempo avevamo sottolineato come la strage al Tempio di Baelor da lei orchestrata fosse priva di conseguenze sul piano politico. Vale lo stesso anche sul piano personale, se consideriamo che la nuova regina dei Sette Regni si è appena macchiata dello stesso crimine che Jaime aveva scelto di prevenire in passato, a costo di essere universalmente bollato come traditore. Con il finale ‘esplosivo’ della sesta stagione e il giovane Lannister che rientra nella capitale giusto in tempo per assistere all’incoronazione della sorella, e con il suicidio dell’ultimo figlio superstite come sovrappeso, siamo tutti in attesa della sua reazione, certi che di gocce per far traboccare il vaso ce ne siano in abbondanza. Non accade niente di tutto questo, e l’accaduto viene liquidato da Cersei con due chiacchiere di circostanza, e Jaime resta fedelmente al fianco della sorella e amante. A peggiorare le cose, il sospirato abbandono (definitivo?) della sorella avviene in coda alla settima stagione, non per tutto quello che è accaduto finora, ma perché “Cersei ha mentito a Jon Snow riguardo l’alleanza contro il Re della Notte”. Come a dire che sulla strage nella capitale e sul suicido del figlio possiamo anche passarci sopra, ma sulla mancata parola a Jon Snow non sia mai. Inizia a essere chiaro che c’è poca cura per gli interessi e le motivazioni coerenti del personaggio, e che conviene farlo scegliere per portarlo dove vuole la trama. Le cose peggioreranno.

Nikolaj Coster-Waldau è Jaime Lannister

Crollo sul traguardo

A prescindere dalle motivazioni che lo hanno portato in loco, agli esordi della stagione finale, Jaime è quanto meno dove dovrebbe essere: a combattere “dove conta” sul fronte settentrionale, in compagnia di un cast dove in termini di onore e di dimensione morale, almeno per la buona parte dei presenti, si respira decisamente un’aria più salubre. È l’occasione per mandare in scena quella che a detta di molti è l’ultima finestra “di qualità” di Game of Thrones, quel secondo episodio incentrato sulla vigilia della battaglia dove si lascia spazio per un’ultima volta alle relazioni personali, all’approfondimento e ai dialoghi prima di tuffarsi nella lunga cavalcata d’azione finale. E qui Jaime fa il suo dovere, “regolando i conti” con Bran Stark, ritrovando figure come Bronn e Tyrion e portando finalmente a conclusione la lunga e tormentata relazione con Brienne. I pezzi si incastrano al loro posto con una precisione tale che viene quasi da credere che al giovane Lannister manchi solo una morte da eroe sul fronte del dovere per coronare il percorso di riscatto.

Ma il fato e gli showrunner hanno in serbo qualcosa di ben diverso. Il contributo di Jaime nella battaglia contro il Re della Notte è onesto ma marginale, e a battaglia finita avviene il… colpo di scena, quella dannata necessità di “sovvertire le aspettative” a tutti i costi che è il vero virus letale degli ultimi capitoli della saga.

Jaime sceglie di abbandonare Brienne e i compagni d’arme del Nord per tornare ad Approdo del Re da Cersei. C’è ancora un esiguo margine di manovra che ci lascia sperare che lo Sterminatore di Re voglia rinunciare al posto che si è conquistato combattendo contro i non morti per “chiudere definitivamente i conti” con la sorella e fare quello che già fece una volta, cioè uccidere la sovrana impazzita con le sue mani. Ed è un finale che, anche se amaro, basterebbe comunque a chiudere la storia di Jaime in modo amaro, ma appropriato.

Anche questa speranza è destinata a naufragare. Nel giro degli ultimi episodi, i progressi fatti nell’arco di tutta la serie vengono rapidamente smantellati. Non solo nel tornare ad essere inspiegabilmente infatuato di Cersei, ma anche demolendo gli sviluppi narrativi compiuti su altri fronti (“non mi è mai importato molto degli innocenti”, gli faranno dire di fronte all’ultima reunion col fratello Tyrion, mandando all’aria anche tutto il background alla base della sua scelta di uccidere Aegon a tradimento. Jaime inanella un duello finale con Euron Greyjoy, che – supponiamo – dovremmo avere imparato a riconoscere come sua nemesi, ma che al di là della tardiva rivalità in amore per la stessa donna continua a essere un personaggio che manca del mordente e dell’importanza per essere poco più di un fastidio per chiunque, e poi si incammina tristemente verso la fine, che lo attende sotto una banale frana nei sotterranei del castello nel corso di un’improbabile fuga in compagnia della sempiterna Cersei. “Contiamo solo noi due. Nessun altro ha importanza,” sono le sue ultime parole. Sarà, ma avevamo capito tutti diversamente.

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