La serie di Netflix Lupin ci ha incuriosito sotto diversi punti di vista. Dopo averla esaminata in molte delle sue sfaccettature ci siamo chiesti cosa accada in un paese come l’Italia, che possiede uno dei patrimoni culturali più ricchi al mondo, e chi e come si combattano i crimini e i reati che lo interessano.

Per rispondere a questa domanda siamo quindi andati a intervistare il Tenente Colonnello Dr. Valerio Marra, Comandante del Gruppo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, il Nucleo operativo che si interessa di tutti i crimini contro il nostro patrimonio artistico, che ci ha spiegato come nasca questo specializzato gruppo dell’Arma dei Carabinieri ed in cosa consista il loro lavoro.

Perché nel 1969 è nato il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale ed è una coincidenza che il nucleo sia nato proprio lo stesso anno del furto a Palermo del capolavoro del Caravaggio, la Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi?

Avremmo dovuto avere poteri di veggenza, perché come lei giustamente osserva i Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale Artistico nascono il 3 maggio del 1969, mentre il furto della tela del Caravaggio avvenne il 18 ottobre del 1969 a Palermo. Ma la grandissima incidenza dei furti e dei reati contro il patrimonio che si verificarono in quegli anni in Italia, le esportazioni clandestine e il traffico illegale di opere d’arte e reperti archeologici verso l’estero portò all’esigenza, dal punto di vista politico, di creare un nucleo specializzato in contrasto ai danni del patrimonio. All’epoca non c’era nemmeno il Ministero della Cultura, che venne costituito nel 1975, c’era però il Ministero della Pubblica Istruzione con la sua Direzione Generale delle Belle Arti e delle Antichità, che chiese al Comando Generale l’istituzione del nucleo di Carabinieri specializzato. Poi negli anni il Comando ha avuto un rafforzamento nella sua struttura: nel 1970 è diventato comando di corpo e nel 1992 è nato il primo comando distaccato a Palermo. Oggi abbiamo 16 nuclei in tutto il territorio nazionale, l’ultimo dei quali è stato inaugurato il 28 maggio di quest’anno alla presenza del Ministro della Cultura e del Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri a L’Aquila, che è stata colpita nel 2009 dal terremoto ed in ragione di questo è stata scelta come sede del 16° nucleo istituito con un decreto interministeriale. I nuclei hanno una competenza regionale in materia di lotta al traffico di beni culturali, quindi di tutti i reati che sono in danno al patrimonio culturale.

Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale

La sede centrale del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, a Piazza Sant’Ignazio a Roma

In altri paesi esiste qualcosa come il vostro Nucleo? La cooperazione internazionale sarà fondamentale in questo campo e probabilmente deve essere anche tempestiva. Se ciò è vero, potrebbe spiegarci come avviene?

L’anno successivo alla costituzione dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Artistico (chiamato ora Patrimonio Culturale per un cambio di terminologia adottato nel 2001) cioè nel 1970, a Parigi, è stata firmata la Convenzione UNESCO con cui veniva raccomandato a tutti gli stati di fornirsi di servizi di polizia finalizzati al contrasto dei reati a danno del patrimonio culturale. Quindi, da questo punto di vista, l’Italia è stata antesignana istituendolo esattamente un anno prima rispetto alla firma della convenzione, che l’Italia ha poi ratificato nel 1978. Oggi il Comando conta oltre 300 uomini impegnati nella lotta di questo tipo di traffici, che interessano da vicino anche la criminalità organizzata, come hanno dimostrato molte delle nostre indagini. La cooperazione internazionale nel nostro settore è quindi molto importante, non solo nei rapporti con le forze di polizia degli altri paesi, ma anche attraverso i servizi di collaborazione internazionale come Interpol ed Europol. Per fare un esempio pratico di come avvenga la collaborazione, posso dire per esempio che la comunicazione tra le banche dati esistenti nei vari paesi è fondamentale. L’anno scorso abbiamo ritrovato in provincia di Teramo la “Ragazza triste”, opera di Banksy apposta sulla porta d’emergenza del Bataclan in commemorazione alle vittime dell’attacco terroristico del 2015 a Parigi, con una collaborazione tra il nostro nucleo, l’Arma territoriale di Teramo e l’autorità giudiziaria e la polizia francesi, e restituita alla Francia. Il tutto è avvenuto grazie una rogatoria e a un ordine di indagine emesso che permette di esercitare appunto attività di indagine nei paesi europei in forza di una convenzione che snellisce le procedure ed accorcia di molto i tempi, perché lo Stato ricevente ha l’obbligo di collaborare con chi manda la richiesta. Lo scopo finale della collaborazione tra paesi non è inoltre solo quello di riportare in Italia dall’estero beni illecitamente sottratti, e viceversa, ma anche quello di valorizzarli, perché l’opera d’arte è un patrimonio dell’umanità, non solo nazionale, e non deve essere goduto solo dal singolo collezionista, ma anche lecitamente prestato e fatto circolare perché tutti ne godano.

Si ha un’idea di quanti siano in realtà i beni culturali presenti in Italia e di conseguenza quante opere manchino all’appello oggi? Si è mai fatto una sorta di censimento?

Oltre alla collaborazione internazionale un ruolo fondamentale lo riveste senza dubbio quello che costituisce anche il nostro core business, il nostro principale strumento di analisi, ma anche di contrasto al crimine, che è la Banca Dati dei Beni Culturali Illecitamente Sottratti. Oggi ci sono oltre 1 milione e 870 mila opere da ricercare all’interno di questa banca dati, che è il più grande database al mondo di opere d’arte rubate, che contiene oltre 815 mila immagini. Le opere immagazzinate sono sia sottratte in Italia che all’estero e sono circa 66 mila inserite come “eventi furto”, mentre più di 5.500 sono quelle che ci vengono comunicate dall’estero tramite il servizio Interpol. Questo vuol dire che noi possiamo cercare un’opera in Italia e fuori del nostro paese, anche sul mercato online, se abbiamo da affiancarle il “wanted” nella nostra banca dati. In Italia ce lo comunicano i Carabinieri e le altre forze di polizia attraverso la ricezione della denuncia, con fotografia, descrizione, dimensioni, autore, quei dati che consideriamo la carta d’identità di un’opera d’arte e che l’UNESCO chiama proprio “object ID”. Ovviamente è molto più facile cercare un’opera d’arte che spunta sul mercato quando si hanno tutte queste indicazioni e soprattutto la fotografia, che per noi è un elemento strategicamente e operativamente vincente, finalizzato alla ricerca del bene stesso. Non tutte le opere però sono catalogate, basti pensare a quelle detenute dai privati e non avere delle immagini rende la ricerca più complessa, soprattutto perché alcune di esse vengono tagliate e sezionate per renderle più commerciabili e meno riconoscibili. Dal 1969 sono stati recuperati oltre 3 milioni di beni culturali, di cui circa 163.358 oggetti d’arte, oltre 1 milione e 872 mila beni librari e archivistici e oltre 1 milione 181 mila beni archeologici, e sono stati sequestrati oltre 1 milione 865 mila falsi. I beni contraffatti sono un’altra patologia del mercato legale dell’arte, perché entrano e vanno a “drogare” quello che è un mercato lecito, inducendo in errore l’acquirente e minando la qualità e la genuinità del mercato stesso, motivo per cui bisogna stare sempre molto attenti, anche solo rivolgendosi direttamente al nostro gruppo via mail, al [email protected], per rispondere a qualche dubbio sull’originalità di un’opera, perché noi rispondiamo direttamente anche ai cittadini.

Per verificare la genuinità di un’opera in un campo così delicato a chi vi affiancate in particolare?

I carabinieri sono prima di tutto militari, siamo militari ed agenti di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza, ed in questo settore specialistico il comando carabinieri dipende funzionalmente dal Ministero della Cultura oltre che dall’Autorità Giudiziaria, perché perseguendo dei reati la informiamo quando dobbiamo effettuare per esempio dei sequestri o delle perquisizioni oppure effettuare verifiche o arresti. Basti pensare alle grosse organizzazioni internazionali che trafficano illecitamente i beni culturali. Inoltre collaboriamo con le varie articolazioni del Ministero della Cultura che sono presenti sul territorio, che sono Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, con storici dell’arte, archeologi, architetti, archivisti, bibliografi e tutti coloro che studiano il nostro patrimonio artistico e dei quali ci avvaliamo anche per attività di prevenzione e controllo sul territorio, soprattutto per quanto concerne le moltissime aree archeologiche. Grazie a questa sinergia, uno dei principali recuperi fatti da Carabinieri del Patrimonio Culturale è stato per esempio il Cratere di Eufronio, esposto al Metropolitan Museum di New York, che era stato scavato illecitamente a Cerveteri e che nel 1971 era uscito illecitamente dal nostro territorio per essere messo in mostra negli Staiti Uniti e che poi è stato riportato da noi in Italia, nel 2008, grazie ad un’operazione di Polizia Giudiziaria, ma anche di diplomazia culturale.

Testa di divinità femminile

A sx. “Testa di divinità femminile”, rubata nel 1977 all’ingresso dei Fori Imperiali a Roma e recuperata nel 2020 Savona

Perché si ruba un’opera d’arte oggi? E chi è che commette o commissiona questo genere di furti? I collezionisti, la malavita?

L’Italia, che è stata nel corso degli anni oggetto di saccheggio sia sotto terra che in mare, è anche il paese più ricercato dai grossi compratori esteri di beni storico-artistici, che ne fanno mostra all’interno delle loro abitazioni, delle loro ville o anche all’interno di musei. Noi abbiamo per esempio una questione ancora aperta che riguarda L’Atleta vittorioso di Fano, il famoso Lisippo, che è stato esportato illegalmente dall’Italia dopo essere stato trovato nelle acque antistanti Fano ed è finito oggi al Getty Museum in California. Una sentenza della Corte di Cassazione, quindi definitiva e passata in giudicato, ha stabilito che quel bene appartiene al patrimonio archeologico italiano e noi aspettiamo che questo bene rientri dagli Stati Uniti d’America. I beni archeologici sono per definizione appartenenti allo Stato e non possono essere commerciati, nemmeno tra privati, ogni transazione che dovesse avvenire con oggetto bene archeologico è nulla. Non possono essere nemmeno esportati. Gli uffici di esportazione, che dipendono dalle Soprintendenze, concedono la licenza di esportazione quando un bene deve uscire dal Paese, ma per definizione il reperto archeologico non può uscire mai, perché appartiene allo Stato. La legge dice che se un cittadino dovesse rinvenire un bene archeologico scavando nel suo terreno, dovrebbe denunciare quel bene all’Autorità di Pubblica Sicurezza, alla Soprintendenza o al Comando dei Carabinieri entro 24 ore e non potrebbe usarlo per farne un commercio come fanno i “tomabaroli”. Accanto a queste figure esiste poi una catena di ricettazione nelle filiere criminali, molto forti e strutturate, che vedono nei principali musei americani e canadesi, ma anche negli acquirenti privati (con la Svizzera, la Germania o l’Inghilterra a fare da punto di snodo) una fonte di guadagno. Nel 2018, l’Operazione Demetra condotta dai Carabinieri del TPC di Palermo ha permesso di scardinare un’organizzazione criminale con base nel centro della Sicilia che trafficava beni archeologici attraverso la Germania ed era gestita da un trafficante d’arte inglese, in seguito alla quale sono state arrestate 25 persone a cui è stata contestata la transnazionalità del reato, che in seguito alla Convenzione di Palermo, ratificata nel 2000, prevede un aumento di pena.

Le opere d’arte si rubano quindi per diversi motivi: perché c’è un collezionismo a monte, perché ci sono persone che vogliono fare bella mostra di sé, mentre la criminalità organizzata può usarle come merce di scambio. Fare un’attività di indagine seria in questo settore significa conoscere la filiera e presuppone una profonda conoscenza del mercato legale dell’arte, da cui emerge anche l’illegale, e naturalmente anche avere un’elevata specializzazione. Questo da parte nostra significa fare una continua attività addestrativa, cosa che facciamo anche per le forze di polizia di altri paesi grazie all’esperienza acquisita negli anni.

Tra i molti furti su cui indaghiamo ci sono anche storicamente le opere saccheggiate durante la guerra, come Il Vaso di Fiori di van Huysum, che è stato restituito nel 2019 agli Uffizi dopo essere stato sottratto da un soldato tedesco nel 1944.

In che modo le nuove tecnologie hanno cambiato la vostra attività investigativa e hanno anche in un certo senso favorito il traffico di opere d’arte?

L’Italia non è l’unico paese ad avere un nucleo specializzato che si occupa di reati ai danni del patrimonio culturale e che ha una sua banca dati, penso per esempio alla Francia che ha un servizio dedicato, ma che è composto da sole 15 persone, con una sua banca dati, così come ce l’ha l’Interpol, che ha un Segretariato Centrale a Lione e la Stolen works of art unit. Queste banche dati comunicano tra loro, ma la più grande è quella italiana.

Nel 2017, in provincia di Roma, fu recuperata una pala d’altare che, grazie all’inserimento nella nostra banca dati, si è scoperto essere stata rubata in Belgio dalla Collegiata di Santa Valdetrude e questo è stato reso possibile dal fatto che le autorità belghe avevano chiesto di inserirla nel nostro database. Contemporaneamente lavoriamo anche allo sviluppo di software sempre più avanzati finalizzati alla ricerca di questi beni sulle fonti aperte e su Internet, perché il mercato si muove sul terreno, ma con la pandemia anche sul web. E sull’e-commerce noi troviamo e rintracciamo beni che sono stati rubati anche a distanza di 30, 40 o 50 anni.

Quali sono oggi gli obiettivi più colpiti in Italia?

I luoghi di culto senza alcun dubbio, anche dai ladri seriali. Perché sono meno protetti e anche perché al loro interno ci sono degli oggetti molto piccoli e più facili da asportare e commercializzare. La Conferenza Episcopale Italiana ha già adottato una catalogazione di tutti i beni culturali che sono all’interno delle chiese, che per definizione, proprio come i beni archeologici, sono inalienabili e appartengono alla Diocesi. Anche la CEI ha quindi una banca dati che noi interroghiamo, tanto per sottolineare quanto fondamentale sia la catalogazione delle opere d’arte e la comunicazione tra i diversi paesi.

La spoliazione del nostro patrimonio artistico avviene per la maggior parte per cessioni volontarie di opere d’arte da parte dei legittimi proprietari privati, che le fanno però uscire illegalmente dal nostro paese. Se ad acquistare è un museo, come nell’esempio che ci ha fatto con il Lisippo, quest’ultimo non commette forse un reato?

Bisogna guardare la legislazione del paese in cui avviene l’acquisto perché si applica la legge del territorio e poi si applicano le convenzioni internazionali, come quella UNESCO di cui abbiamo già parlato o la UNIDROIT del 1995 sulla restituzione dei beni culturali rubati o illecitamente esportati, che però non tutti i paesi hanno ratificato. La convenzione UNIDROIT, per esempio, adotta un sistema di due diligence, di adeguata verifica, in cui chi acquista deve verificare che quel bene abbia un attestato di libera circolazione emessa dal paese di provenienza, una carta di identità del bene, un’esatta catalogazione e via dicendo. Ma se quel paese non ha ratificato la convenzione, non si applica questo sistema e magari gli basta la prova che quel bene appartenga al venditore con la tracciabilità dei pagamenti, quindi è un confine molto labile che solo i giudici possono stabilire, ma quelli del paese compratore perché il reato si è consumato lì. Spesso, poi, dove non arriva l’autorità giudiziaria, arriva la diplomazia culturale. In questo momento ci sono per esempio 8 dipinti al Museo Nazionale di Belgrado che sono stati sottratti in Italia nel 1945 durante la II Guerra Mondiale dai Nazisti e si auspica che forse si sia riusciti a raggiungere un accordo che porterà al rientro di queste opere, tra cui vi sono quadri del Tintoretto, del Veneziano e del Carpaccio.

Vi è mai successo di arrestare un ladro di opere d’arte particolarmente attivo, i cui metodi fossero riconoscibili, tanto da farne una sorta di “famoso ricercato”?

Esistono sicuramente dei ladri seriali, c’è per esempio un ladro che vive in Emilia Romagna e prende di mira le chiese e che i Carabinieri di Ancona hanno arrestato 3 anni fa sulla base di un’indagine con sistemi di sorveglianza. Ed ecco perché è importante monitorare il mercato non solo on-line, ma quello fisico degli antiquari, con cui c’è una grande collaborazione soprattutto su beni così commerciabili, una collaborazione che esiste anche con le case d’asta.

La seconda parte della prima stagione di Lupin è disponibile su Netflix da venerdì 11 giugno.

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