L’idea che la continuity sia un vincolo, un limite alla creatività è un concetto altamente sopravvalutato. Eppure è particolarmente in voga ora che siamo nell’occhio del ciclone rispetto alla tendenza narrazioni intrecciate, addirittura alcune che si diramano su più media attraverso linee di trama complementari. Ci sta. È una normale stanchezza. Fa parte dell’essere spettatori chiedere sempre qualcosa di nuovo e stufarsi alla svelta delle novità. Così la Marvel ha tentato la strada di Moon Knight. 

Una serie diversa dalle altre… che diversa non lo è affatto, se non per qualche dettaglio di spicco. Partiamo dal presupposto che ci vuole parecchio coraggio a paragonare una miniserie come WandaVision, che è una riflessione metatelevisiva per quasi tutta la sua interezza, con uno show del calibro di Loki, che invece è una stramberia fantascientifica che sconfina nel filosofico. Così ad esempio Hawkeye è diversa da Moon Knight pur condividendo la prospettiva più urbana, perché la prima è una commedia action a tema famigliare, la seconda è Il mistero dei templari mischiato con Split (il film di Shyamalan). 

Appartenere a uno stesso universo non significa essere automaticamente simili. E ogni serie vista fino ad ora ha, nel bene e nel male, dichiarato un’identità propria ben definita.

Però Moon Knight è senza dubbio più vicina delle altre al tono impostato dalle produzioni Netflix come Daredevil. Spinge molto di più sul lato concreto che su quello supereroistico-magico. Che fatica attendere il costume, così bello visivamente! Il regista Mohamed Diab lo trattiene il più possibile per lasciare spazio a Oscar Isaac e alle sue due complicate identità umane. È più concreto nella violenza perché mostra più conseguenze fisiche. Anzi, a volte solo quelle in un grandioso uso dei tagli di montaggio. Si muove di più nella notte, tiene una grana visiva più tenebrosa, sebbene non manchino le parentesi umoristiche e, come temi, sia ben più leggero di molte altre storie targate MCU. Ma, soprattutto, è collegata al minimo, se non con qualche easter egg, a quell’universo. 

A Collider il regista ha detto:

Volevo spingerla al limite. Volevo qualcosa che normalmente non avrei pensato che volessero, ovvero che avesse un tono e un aspetto diversi da qualsiasi altro progetto MCU, ed è questo il caso. Così oggi si può dire, come mi dicono alcune persone, che se non ci fosse il logo Marvel all’inizio dell’episodio non per forza si saprebbe che è un loro show, che è qualcosa di cui vado fiero. Sono orgoglioso di come abbiamo cancellato l’idea di qualsiasi crossover e non abbiamo bisogno di stampelle. Stiamo in piedi da soli e il progetto… forse è questa la sorpresa, invece che un crossover, camminiamo con le nostre gambe.

Una dichiarazione di intenti chiara che trova effettivo riscontro in quanto visto fino ad ora. Eppure come sottolineava il nostro Luca Mazzocco nello speciale sulla componente sovrannaturale di Moon Knight, la serie fa grande affidamento al pantheon di divinità. C’è tanta magia, e di un tipo completamente diverso dalle altre (forse il colore viola può avvicinarla a quella di Agatha Harkness?). La guerra tra Khonsu e Ammit è ben diversa da quella che ci può essere tra Thor e Hela. Dei e semidei completamente diversi sia nella loro rappresentazione che nel modo in cui agiscono e nella dimensione mistica in cui vivono.

Solo che Moon Knight insistendo nella sua distanza da tutto il resto si priva (almeno per ora) della possibilità di far confrontare il protagonista con alcune domande che avrebbero dato più grinta allo show. Come ad esempio gli effetti del blip su queste divinità, che magari hanno perso gli avatar terrestri. Soprattutto però si sente la mancanza di un confronto diretto con quella cosa per nulla trascurabile come la comparsa di Arishem nei cieli alla fine di Eternals. Va notato tra l’altro che il modo di agire di Arthur Harrow è simile a quello del Celestiale giudice.

Moon Knight

 

I cieli si ribaltano in Moon Knight: prima o poi bisognerà parlarne

Da tempo nell’MCU nessuno si stupisce più di niente. E questo aiuta molto la fluidità degli eventi. Perché chi ha visto Chitauri arrivare su New York, alieni decimare l’universo, Dei norreni insediarsi in pianta stabile sulla terra, un mercenario schizofrenico posseduto da una antica divinità egizia è quasi una cosa da poco. Non lo sarebbe però per Steven Grant, che è pur sempre un uomo che riflette su di sé, sui comportamenti e il destino della propria esistenza. Possibile che non si chieda mai se sta diventando proprio come i superuomini che vede alla televisione?

Smuove i cieli, crea eclissi, senza richiamare l’attenzione di nessuna delle molte società segrete che lavorano per la difesa del cosmo. E va bene, ci si può credere (più o meno). Però è un peccato rifiutare di attingere a quella mitologia ormai ampiamente raccontata al pubblico. Per capire il senso e l’origine dei propri poteri è normale che Marc\Steven vada ad esclusione. Cosa non è? È un Dio come Thor? Si trasforma come Hulk? A chi può chiedere aiuto? E cosa pensa in quel momento l’opinione pubblica degli esseri come lui? Finite le sue avventure nessuno lo cercherà? Nemmeno la Contessa Valentina Allegra de la Fontaine che sta formando la sua lega di eroi a dir poco discutibili? 

Si può affermare la propria originalità anche per contrasto

A livello puramente scenografico Moon Knight si muove su set e in paesi poco battuti dall’MCU. Però questi non sembrano mai influenzati da tutti gli eventi dei film precedenti. Sono così piuttosto piatti come le città delle produzioni Netflix, senza quella sensazione che invece dava Madripoor di un paese normale il cui sviluppo è stato “deviato” dall’incontro con le tecnologie aliene e i complotti internazionali.

Le molteplici personalità di Steven nei fumetti sono parecchio divertenti quando si incontrano con altri supereroi. Aggiungono quel tocco di follia che ancora manca alla serie. Chi non aspetta un Nick Fury che rivolgendosi a lui dice “vorrei parlare con Marc. Ho una proposta da fargli!”? Oppure, in futuro, sarebbe incredibile un confronto con Deadpool o con un gruppo di eroi “oscuri e urbani”.

Sventare l’ennesima minaccia per l’universo non basta più. Per interessare minimamente queste devono essere infatti riferite all’universo Marvel, quindi avere conseguenze quando verranno sventate. Un po’ come i fatti di Westview per Wanda. Insomma, dimostrare di essere in un contesto narrativo popolato da molti altri personaggi aiuta ad alzare il senso di urgenza e di importanza delle svolte. E si poteva farlo senza tradire la voglia di essere originali. 

Appartenere a un universo narrativo più grande è una cosa negativa solo se la si considera tale per partito preso o per diffidenza. Ci sono invece tante possibilità che nascono dal lavoro fatto da altri che permettono di far vedere oggetti già noti, senza dover raccontare tutta la storia, o incontrare fatti inspiegabili razionalmente senza dover ricontestualizzare il tutto ogni volta. Si può dare tanto per scontato, attingere ad altre atmosfere per mostrare il contrasto e quindi la differenza di stile. E si può dare peso a quello che succede come conseguenza di anni di storie e non come eventi contenuti in una miniserie limitata. Dare quindi quella ragione di “necessità” al tutto.

Non è vero quindi che essere autonomi è sinonimo di qualità. Anzi, come stiamo vedendo si fa il doppio della fatica, perdendo tempo a spiegare e a costruire un mondo da cui si poteva attingere amplificando la portata dell’immaginario.

In fondo se non ci fosse stato il logo Marvel all’inizio, persino I Guardiani della galassia sarebbero sembrati un gruppo a parte, figlio di nessuno e senza alcuna ragion d’essere al di fuori del semplice godimento del film. E invece…

E voi cosa ne pensate di Moon Knight? Fatecelo sapere nei commenti!

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