Poteva essere una normale scena d’apertura per un film criminale quella che c’è all’inizio di Free Fire: due gruppi di persone si incontrano di notte in una fabbrica abbandonata per scambiarsi soldi e armi. I primi hanno la valigetta con il contante, i secondi il van con le casse di fucili. Non c’è amore reciproco ma gli affari sono affari. Quando tutto degenera per un dettaglio, il nervosismo ha la meglio e si passa subito alle pistole.
A questo punto a rendere questa scena diversa da tutte quelle viste in precedenza è il fatto che non riesca a finire, perchè nessun personaggio vuole morire, anche quelli che sembrano deputati dal film a crepare. Colpiti di striscio, miracolosamente vivi, feriti alle gambe, tenacemente attaccati alla vita nonostante buchi in pancia, tutti tengono duro. Per tutto il film.

Free Fire viene da un regista che con la morte ha un rapporto così disincantato da poterci giocare, rimandarla, negarla o farla esplodere a piacimento al di fuori delle classiche regol...