Non sembra nemmeno tratto da un romanzo Sunset Song (invece sì, quello scritto da Lewis Grassic Gibbon) tanto è fondato su un immaginario visivo e soprattutto su un montaggio sballato e sempre meravigliosamente fuori tempo. Tanto è puro cinema anche nell’uso di una voce fuoricampo tra le meglio scritte che si ricordino.
La storia di Chris Guthrie, contadina con madre morta a poco dall’inizio del film, padre prepotente e fratello che preferisce andarsene via, in città, è una parabola d’orgoglio nazionalista scozzese. Nel film però la costruzione della mitologia contadina delle Highlands è per Terence Davies non solo la sua solita rievocazione di un passato che ha i contorni del sogno, le canzoni dell’epoca e la patina dell’illustrazione, ma soprattutto un momento di pura vita.

La cosa incredibile di questo regista che ragiona come nessun altro, è come sia capace di trovare la vitalità e l’ardore nelle soluzioni registiche meno scontate. Nessuno come lui, e specie in questo film, sembra ...