Quello di Black Mass è un problema di autorialità, uno che si pone molto raramente nel cinema americano, abituato a rifugiarsi (spesso splendidamente) nel genere e nelle necessità commerciali. Perchè il nuovo film di Scott Cooper, come già Il fuoco della vendetta, non vuole essere davvero di genere, non vuole somigliare a nient’altro ma sembra non saper nemmeno cosa essere. La storia vera di Jimmy Bulger poteva essere un ottimo film nello stile di Scorsese (gli anni sono quelli, ’70, ’80 e ’90, il tema del grande mafioso spietato colluso con il clan dell’FBI pure), oppure una storia asciutta e di serie B, tutta intrighi e manipolazioni. Poteva addirittura essere un film di insospettabile umanità, visti i rapporti personali che intavola, o una commedia (incredibile quanto giri vicino ad American Hustle); invece Cooper ne vuole fare una parabola plumbea. Vuole suggerire invece che dire ma alla fine non esce niente.

Lungo tutto il film si assiste alla vita di...