Non è chiaro chi sia il pubblico di un film come The Women Who Left, almeno al di fuori del circuito dei festival o dei grandissimi appassionati, eppure forse non importa. Un film così, in cui l’intreccio suona come un thriller ma la messa in scena come semidocumentaristica (e non è nessuno dei due), forse va fatto a prescindere, per un pubblico che se oggi non c’è ci sarà domani. Perché c’è un indubbio fascino in queste lunghe inquadrature nelle quali Lav Diaz fa accadere l’indispensabile con il massimo dell’artificio in un mondo che è il massimo del reale. Per quanto trasfigurata in inquadrature che paiono fotografie patinate o dipinti, la realtà di The Women Who Left è tangibile, forse tanto più tangibile quanto più è puramente finzionale, messa in scena e cinematografica.

Una donna esce di prigione dopo anni di reclusione perché è stata acclarata la sua innocenza, torna nel suo paesino, là dove tutto è accaduto e fa una doppia vita, di giorno e di notte. L’idea è indagare sul picco...