Wolf Creek è l’horror da festival (il primo andò a Cannes, questo a Venezia), nato come la periodica incursione minimalista nelle terre di nessuno australiane (non è chiaro perchè ma gli spazi sconfinati sono il terreno preferito dei cineasti indipendenti australiani, il luogo in cui possono far accadere tutto senza fare niente) ed ora evoluto in piccolo franchise di minuscolo interesse.

Efferato come l’eredità del primo gli impone, il sequel ripropone l’idea di raccontare quel che non si sa a partire da eventi reali. Le reali sparizioni all’interno del grande paese australiano, esseri umani mai ritrovati oppure ritornati in condizioni precarie sia fisiche che mentali. Spesso c’era un noto serial killer (fatto da cui parte il film precedente) stavolta invece l’origine della follia del protagonista non è data ma il film ci ricama unendo arbitrariamente questi fatti a quelli del precedente.
L’aria della pretestuosità è insomma molto forte.