Un anno fa l’impressione era stata molto chiara: il festival di Cannes aveva dovuto sterzare rispetto alle scelte fatte per via di un’imposizione del suo consiglio d’amministrazione e aveva chiuso le porte a Netflix che invece, in un modo o nell’altro, aveva piacere ad entrare.

Questo era quello che il festival era riuscito a veicolare quando The Meyerowitz Stories e Okja, due film in concorso di Netflix scelti e presi dal direttore Thierry Fremaux, avevano generato un po’ di maretta durante il festival stesso. Allora Fremaux era stato costretto a fare marcia indietro. In buona sostanza gli esercenti francesi si erano lamentati con una tale veemenza (e una tale influenza politica) da smuovere le acque e costringere il festival a dire “Mai più”. Dall’anno dopo, si era detto, Cannes avrebbe accettato solo film con una distribuzione nelle sale francesi già prevista. E sembrava una pietra tombale a cui non interessava la risposta di Netflix.

Un mese fa circa è arrivata una parziale smentita che molto dice di quanto in realtà, questa nettezza, questa durezza del festival fosse una posa (molto francese). Fremaux aveva detto con molta nonchalance: “Niente film di Netflix in concorso però sì ai film di Netflix fuori concorso”. In buona sostanza c’è stata un’apertura, frutto di ampie trattative, che consentirebbe a quei film di poter stare lì e fare quel che interessa solitamente ai film (promozione, foto, stampa, tappeti rossi delle star ecc. ecc.). Sembrava una concessione del Festival, un’apertura necessaria e auspicata da un po’ tutti un anno fa.

Oggi arriva (e finalmente!) la versione di Netflix della storia, quella che fino ad ora era mancata (la società aveva parlato ma per slogan, come fanno tutti, senza lasciar capire davvero cosa avessero in mente). Netflix a quanto pare non ha tutto questo interesse a stare a Cannes, ed è disposto a non starci per nulla. Soprattutto oggi, tramite un’esclusiva all’Hollywood Reporter, ha detto a tutti (ma in realtà sta parlando più che altro al consiglio d’amministrazione di Cannes) che possiede un buon numero di film che al Festival interessano (e come!), Vanity Fair parla di almeno 5: Norway di Paul Greengrass, Hold the Dark di Jeremy Saulnier (lo stesso di Blue Ruin e Green Room), l’ultimo inedito film di Orson Welles tutto ricostruito, The Other Side Of The Wind, They’ll Love When I’m Dead di Morgan Neville e Roma di Alfonso Cuaron. Solo l’ultimo di questi cinque, il ritorno di Cuaron 5 anni dopo Gravity, basterebbe a giustificare follie da parte di qualsiasi manifestazione, figuriamoci Cannes che non ebbe Gravity (era a Venezia) e sicuramente avrebbe piacere ad accoglierlo.

Quanto interessa il concorso ad una produzione grande? Solitamente poco, sono più i piccoli che non hanno nulla da perdere e solo da guadagnare dal concorso, i grandi invece rischiano sempre la figuraccia, ma per Netflix è un po’ diverso. Non possiamo sapere se Reed Hastings davvero tenga a competere e prendere premi, ma è molto probabile di sì, perché il suo modello prevede il premio.

Netflix deve fare produzioni di qualità, deve fare film e serie tv di cui tutti parlino, di cui tutti dicano “Devi vederla” perché il suo business non è la pubblicità (fare più spettatori possibili) ma gli abbonamenti (fare più spettatori paganti possibile). Non gli serve quindi qualcosa che vada bene un pochino a tutti, che alla fine se lo vedano in molti, ma qualcosa che vada benissimo ad una buona porzione di persone, gli serve l’eccellenza che giustifica il pagamento. In questo modello il premio è fondamentale tanto quanto il passaparola, perché è un indubbio indicatore di qualità. Gli Emmy, i Golden Globe e gli Oscar sono in prima fila, ma evidentemente certi film gareggiano più nel campionato di Cannes, Venezia e via dicendo.

Dunque a Netflix il concorso probabilmente interessa davvero, ma è anche evidente che questo è un braccio di ferro più grande di così. La società in teoria potrebbe accettare quest’apertura che, vista dalla parte di Cannes, pare una grande concessione, contando poi di entrare nel concorso un domani con altre contrattazioni, ma è evidente che non vede la cosa come una grande concessione, che non è disposto a riconoscere a Cannes una posizione dominante nella contrattazione. Posizione che evidentemente non ha. Nonostante sia il più grande festival del mondo, per continuare ad esserlo non può rinunciare a film come The Irishman di Scorsese (il cui budget continua a lievitare) o simili, che prevedibilmente nel futuro saranno sempre di più per via di quel discorso sulla necessità della qualità.

Netflix vuole proprio vincere la guerra con le sale (o chissà, magari superarle sul loro stesso territorio) e non far passare il messaggio che gli esercenti possono bloccarli, vogliono far capire che in questa grande battaglia loro hanno il prodotto e questo vince su tutto. Quindi sono probabilmente pronti a levarli da Cannes perché potrebbe anche avere poco senso per loro accontentarsi del fuori concorso quando l’obiettivo è non stare sotto lo schiaffo delle sale.

La storia avrà un termine, parziale, il giorno della conferenza di Cannes, cioè il 12 Aprile. Lì vedremo se Cannes ha ceduto (difficile, sarebbe una batosta ridicola dopo gli strali dell’anno scorso) o se Netflix ha fatto la voce grossa, che oggi pare più probabile per quanto poi la realtà sia più complessa degli schieramenti e anche Reed Hastings potrebbe fare un piccolo passo indietro e rimandare di un po’ la grande vittoria finale (che arriverà, alla fine i film vincono sempre, perché è l’unica cosa che gli spettatori vogliono).
Di certo a gongolare sono i direttori di tutti gli altri grandi festival del mondo che invece con il gigante dello streaming non hanno alcun problema e che lo aspettano a braccia aperte.

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