Dopo la vittoria a sorpresa del Festival di Toronto, American Fiction, la commedia dark con protagonista Jeffrey Wright  (GUARDA IL TRAILER) è diventato uno dei titoli in corsa per i prossimi Oscar. Tratta dal libro Ensure, la sua storia racconta le vicende di uno scrittore di nome Thelonious “Monk” Ellison (Jeffrey Wright), che torna nella sua città natale di Boston per partecipare a un festival del libro. La partecipazione al suo incontro è bassa, perché molti decidono invece di seguire il seminario di Sintara Golden (Issa Rae) sul suo bestseller We Lives in Da Ghetto. Frustrato dall’establishment che trae profitto dall’intrattenimento sui neri che si affida a tropi e stereotipi offensivi, decide di scrivere un libro sui neri utilizzando uno pseudonimo che fa leva su questi elementi: finirà al centro di quell’ipocrisia che afferma di disprezzare.

Recentemente, The Hollywood Reporter ha realizzato un articolo raccontando i retroscena della sua realizzazione. Vi riportiamo i passaggi più interessanti.

Il legame tra il regista e il libro

American Fiction segna il debutto dietro la macchina da presa di Cord Jefferson, che non ha certo scelto un’opera facile per il suo debutto. Nel 2014, verso la fine dei suoi otto anni di carriera giornalistica, aveva pubblicato un saggio intitolato “The Racism Beat”, con il sottotitolo “What it’s like to write about hate over and over and over”. Il pezzo esplorava i suoi sentimenti complicati e la crescente frustrazione per il modo in cui gli editori si rivolgevano costantemente a lui per scrivere di incidenti razzisti e storie di traumi dei neri.

Così, si è interessato alla satira di Erasure, a cui si è sentito legato anche per il dramma familiare che trattava e che presentava sorprendenti analogie con la sua vita personale. Ecco come:

Anch’io ho due fratelli e a volte abbiamo avuto un rapporto complicato; abbiamo una figura paterna prepotente, proprio come nel libro; e mia madre non soffriva di Alzheimer, ma è morta di cancro circa otto anni fa e, come Monk, mi sono trasferito a casa per aiutarla a prendersi cura di lei verso la fine della sua vita. Il diagramma di Venn tra la vita di Monk e la mia ha iniziato a diventare un cerchio. Quando sono arrivato alla fine del libro, ho pensato: “È esattamente quello che stavo cercando”.

Il cambio del titolo

Nel corso di American Fiction, il protagonista, esasperato dal fatto che i suoi editori non abbiano capito che la sua opera era stato concepito come una gag, decide di provare a far saltare l’accordo insistendo che continuerà a pubblicare il libro solo se potrà ribattezzarlo Fuck. Durante lo sviluppo e la produzione, Jefferson aveva intenzione di intitolare così anche lo stesso film:

Fuck era sul ciak ed era scritto sulla t-shirt che tutti usavano durante le riprese. Sarebbe stata quello per cui immolarmi. Mi sono detto: “No, è Fuck – è divertente e ha senso quando si guarda il film”. 

Solo in fase di post-produzione, il regista ha finalmente accettato di cambiare il titolo:

[I produttori] sono venuti da me e mi hanno detto: “Possiamo darti un milione di ragioni per cui ci saranno distributori che non lo metteranno in sala, ma il problema numero uno è che quando la gente va a cercare su Google Fuck movie, non troverà il nostro film”. Questa era una considerazione pratica piuttosto valida.

Comunicare un dramma più serio

Dal punto di vista visivo, Jefferson e il suo direttore della fotografia, Cristina Dunlap, si sono sforzati di controbilanciare alcuni dei momenti comici più oltraggiosi del film. Spiega quest’ultima:

Anche se il film è una satira, non volevamo che sembrasse una commedia o una farsa. Volevamo che fosse più intimo e che trascrivesse visivamente le emozioni che Cord aveva scritto nella sceneggiatura, soprattutto nelle dinamiche familiari.

Quindi, anche se le riprese sono state effettuate con lenti sferiche e non anamorfiche, hanno deciso di girare in formato widescreen 2:35. “In questo modo siamo riusciti a inquadrare più persone contemporaneamente, pur rimanendo stretti, in modo da poter vedere le loro emozioni. L’obiettivo era comunicare un dramma più serio“.

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FONTE: The Hollywood Reporter

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