Gina Lollobrigida (morta oggi a 95 anni), in un certo senso, è una scoperta americana. Dopo teatro, fotoromanzi e qualche film in Italia (tra cui c’è il fantasy di cappa e spada di grandissimo successo Aquila nera nel quale ha un ruolo minuscolo) viene scoperta, in un certo senso, da Howard Hughes e messa sotto contratto senza che giri nulla. È stata scelta dagli americani ma lei non vuole lavorare in quel sistema così stringente, tantomeno una persona come Howard Hughes. Così torna in Italia e potrà lavorare a film americani solo se girati fuori dall’America fino al 1959. C’è quindi questa strana forma di scoperta dietro la lenta creazione della mitologia divistica di Gina Lollobrigida, attrice caratterizzata dall’essere star.

L’essere star non è solo una questione di recitazione ma più una questione di presenza, la capacità di saper stare davanti ad un obiettivo e risultare interessante, la capacità di catalizzare l’attenzione del pubblico su di sé e di essere corpo e volto che si fanno interpreti delle istanze della maggioranza degli spettatori. Ma è anche capacità di avere una vita al di fuori dello schermo che interessi, la capacità di esprimere un carattere ed essere un personaggio prima che una persona, soprattutto al di fuori dei film. Di Gina Lollobrigida si seguivano tanto i film quanto le vicende personali e lei, al pari di molte grandissime dive dell’epoca, era inquadrata in uno stereotipo. Come i personaggi e i caratteri dei film anche la sua persona, nel mondo reale, era considerata un personaggio, valutata a discussa a partire dal carattere affibbiatole, rassicurante quando conferma lo stereotipo, notiziabile quando non lo fa.

La costruzione divistica parte da questo dalla riduzione di una persona a personaggio attraverso la sua attività sullo schermo. Una riduzione che non si può operare su chiunque ma solo su qualcuno dotato della capacità di entrare in relazione con chi guarda. Per questo l’industria americana dell’epoca, che più di tutte era fondata sulla creazione di divismo come veicolo commerciale di vendita dei film, tanto quanto oggi è fondata sulla creazione e valorizzazione di proprietà intellettuali per la vendita di film, si accorge di lei. Il cinema italiano, che pure di divi e star ne aveva e ne costruiva, segue. Lollobrigida stessa ha dichiarato e spiegato più volte che è stato Vittorio De Sica a fare di lei un’attrice e che non aveva inizialmente un grande interesse verso la recitazione. Il loro incontro accade nel 1953 per Pane amore e fantasia, sette anni dopo il suo esordio con Aquila nera, tre dopo lo schiaffo americano.

gina lollbrigida peplum

Il ruolo nel grande film popolare è uno strumento, anche se fondamentale, tra tanti, l’immagine iconica sull’asino e il carattere (del personaggio) da trasferire alla persona, l’illusione nel pubblico di conoscere la vera persona perché non troppo diversa dal personaggio interpretato. In quel film è una popolana bella e giovane che attira un più anziano carabiniere e che alla fine farà la cosa giusta. È una protagonista italiana degli anni ‘50, può sembrare tutto quel che vuole ma alla fine sarà animata di tutti i valori più giusti e li esprimerà senza sbagliare. La Bersagliera ha un carattere durissimo, è volgare ma di sani principi. In una parola è l’Italia popolare e contadina del secondo dopoguerra, all’interno di una storia di fuga nella provincia per trovare i valori autentici che fonda un intero filone di successo ancora oggi.

Quella è la prima pietra della costruzione della Lollo, che di Gina Lollobrigida è la riduzione, la facciata che serve per vendere film. In questo è formidabile. La costruzione passa non solo dalla riduzione del carattere e dalla vita privata, dai viaggi, gli amori e il gossip vero o falso, ma anche dalla creazione di un gruppo e di dualismi. Il gruppo sono le maggiorate, categoria in cui viene inquadrata e che serve ancora di più a ridurla a immagine più che persona, il dualismo invece si misura con le rivalità con le altre attrici del suo tempo. Sono rivalità alcune volte reali, altre volte pompate, altre ancora mai esistite ma nate realmente a partire dal gossip inventato. La vita che imita l’arte.

gina lollbrigida giallo

In mezzo a tutto questo una produzione sterminata di film in America come in Italia, concentrata per lo più in venti anni tra il ‘50 e il ‘70, film spesso molto popolari, raramente memorabili. Non era la musa di nessuno, non era l’attrice di riferimento dei grandi cineasti, non era la protagonista dei film più importanti, era un asset di vendita e come tale molto importante e molto deperibile. Incassava Gina Lollobrigida, e tantissimo, al suo apice poteva chiedere quello che voleva e avere (in Italia) contratti che le altre si sognavano. Intanto portava avanti la carriera da fotografa e girava per il mondo. Ad una star è concesso molto di più che ad una buona attrice perché tutti, nel mondo reale, vogliono incontrare la star da Henry Kissinger a Fidel Castro, tutti vogliono una foto con l’immagine del proprio tempo.

Quella di Gina Lollobrigida era l’immagine degli anni ‘50 e in un certo senso di una parte degli anni ‘60, l’immagine del blocco occidentale nel dopoguerra e dell’egemonia di un tipo di desiderio sessuale maschile. Non è mai stata plasmata e piegata dalla volontà dei produttori come Marilyn Monroe, forse non l’ha consentito, forse non avrebbe funzionato, era semmai l’immagine di un mondo che desiderava pudicamente di godere e per farlo aveva bisogno di qualcuno che gli indicasse come, gli indicasse un modello di desiderio perfetto per i contrasti, le ideologie, i pudori e le pruderie di quegli anni: la Lollo. La star.

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