Bones And All è come una fiaba sulla solitudine dell’esistere e sullo spezzare questa solitudine attraverso l’essere guardati da un altro. Forse di tutti i miei lavori questo è quello che affronta in modo più diretto la solitudine: la solitudine di una figura che si staglia da sola in un vuoto.

Così ha esordito Luca Guadagnino alla conferenza stampa romana di presentazione di Bones and All. Un film straordinario pensato per i più giovani e che pur parlando di cannibalismo colpisce per la sua tenerezza, riuscendo ad attrarre lo spettatore dentro la complessità di figure al limite: outsiders a loro modo innocenti che cercano il loro posto del mondo. Questi weirdos sono Lee (Timothée Chalamet) e Maren (Taylor Russel).

Timothée Chalamet:

Questi personaggi sono privati di diritti, isolati nel mezzo dell’America in un periodo come quello degli anni Ottanta di Ronald Reagan, che prometteva un benessere crescente per tutti mentre nei fatti non è stato così. Lee e Maren non solo sono due giovani che faticano a trovare loro stessi ma sono anche cannibali, una caratteristica che li allontana dalla società ancora di più e che rende questa storia d’amore ancora più potente. Si innamorano così tanto perché lottano per trovare il loro diritto di essere amati, e quando lo trovano nello sguardo di un altro è travolgente, oltre ogni immaginazione.

Lee è un outsider certamente. C’è un’estremità letterale del suo personaggio che lo ha reso il personaggio più isolato che io abbia mai interpretato. Quella solitudine è diversa, è qualcosa però che noi tutti abbiamo sperimentato con il covid in un certo senso, e che ho potuto esprimere con il film.

Il messaggio per chi vede il film? L’interpretazione secondo me sta sempre negli occhi del pubblico. Il surriscaldamento globale pone domande esistenziali a noi tutti, così come gli spaventosi governi nazionalisti che stanno spuntando intorno al mondo, una sorta di rievocazione del passato, di pensiero autoritario, di gruppi autoritari, un mondo dove l’individualità viene in qualche modo al contempo celebrata e condannata. L’individualità di questi due personaggi non è però per loro una scelta: loro sono altro, e la minaccia della loro alterità è inoltre mortale. Ma loro cercano semplicemente di sopravvivere ogni giorno.

Il sodalizio con Luca Guadagnino risale ai tempi di Call Me By Your Name: da allora Chalamet non ha mai smesso di guardare a Guadagnino come a una figura fondamentale della sua vita, e Bones And All è stato per i due una forma ancora più profonda di partnership.

Senza Luca e non avrei fatto tutto quello che ho fatto tra Call Me By Your Name e Bones and All. Mi ha dato una carriera, ha creduto in me da subito. Non ho dovuto passare tutti quegli alti e bassi che solitamente gli attori attraversano, i rifiuti e i provini continui. Con questo ruolo ha benedetto me come ha fatto penso con Taylor – non abbiamo dovuto fare dei provini per avere la parte. Nel mio primo film Luca è stato per me un mentore, ma Bones And All è stata per noi come una partnership e ne sono profondamente onorato. Spero che continueremo a fare tante cose insieme, è per me un caro amico ora, una figura importante nella mia vita. È una persona profondamente stimolante, un vero artista, ed è uno dei motivi per cui sono così entusiasta per questo film: dietro a Bones And All non ci sono grandi interessi di corporation, né è un franchise: questo è un film che esiste perché Luca lo voleva portare al mondo. E questo è il tipo di film di cui abbiamo bisogno.

Luca Guadagnino:

Ho letto la sceneggiatura nel settembre 2020 e a pagina 45 appare il personaggio di Lee. A pagina 47 avevo già capito che l’unico Lee possibile era Timothée.

Interrogato sul possibile paragone tra questi antieroi cannibali e gli X-Men, che come questi si riconoscono a vicenda nella loro diversità e solitudine, Guadagnino risponde:

Io penso che loro [Lee e Maren] non possano di statuto avere un posto. Sono condannati ad una solitudine e ad un vagabondaggio inesorabile. Il problema dei personaggi Marvel è che riproducono in una chiave pop-fantasmagorica le griglie interpretative del reale come date dal mainestram. Loro devono avere un luogo in cui raccogliersi secondo le regole che si sono auto-dati. Sarebbe bello fare un X-Men radicalmente vocato alla profonda differenza dei mutanti. Però devo dire che James Mangold l’ha fatto con quel bellissimo Logan, ultimo capitolo della saga di Wolverine con Hugh Jackman. Quello era bellissimo.

Bones and All è il primo film americano di Guadagnino, un road movie dove il paesaggio ha certamente importanza ma che Guadagnino ha cercato di guardare con un’attenzione particolare nel rapporto che instaura con i personaggi:

La nostra missione era di cercare al massimo di non essere “sopra” quei luoghi e quelle persone, ma accanto, vicino, alla stessa altezza. Una delle cose che ho sempre trovato in un certo tipo di cinema, soprattutto di cineasti europei che girano in America, è di cercare di tradurre quella vastità e complessità attraverso un vernacolo grottesco che rassicura tutti noi rispetto alla nostra idea degli americani. Mai amato.

In che modo sei riuscito a creare un tale equilibrio tra la dimensione horror e l’anima tenera del film?

Più che altro non pensando al film come un film dell’orrore ma uno di personaggi che sono agiti da un comportamento che non possono interrompere perché nella loro natura, e guardando a quei comportamenti nella maniera più oggettiva possibile e non compiaciuta. In generale però tutti i film dell’orrore sono film teneri alla fine: pensa a La mosca, per esempio…

Com’è stato lavorare con Taylor Russell e Mark Rylance?

Timothée Chalamet:

Un sogno. Ho visto Taylor in Waves e l’ho trovata incredibile. La produzione di Bones and All è iniziata con la scena di Taylor con il padre, e io stavo visitando il set in quei giorni: lei ha rapito tutti con la sua recitazione, portava una vibrazione spirituale particolare, arrivava immediatamente a certi livelli di profondità. L’ho trovata di ispirazione.

Mark Rylance è uno dei più grandi attori contemporanei, equamente impeccabile e rispettoso sul set come a teatro. L’ho visto a New York da piccolo in una play chiamata Jerusalem, a Broadway, dove era straordinario, e lavorare con lui è stato un sogno diventato realtà. L’ho incontrato per la prima volta a Venezia e quindi da quando ero sul set lo conoscevo da solo qualche mese. Nel personaggio è uno spaventoso figlio di puttana, ma nella vita reale è una persona assolutamente amorevole, gentile.

Luca Guadagnino:

Quando ho visto Taylor in Waves sono rimasto completamente colpito dalla sua precisione interpretativa. L’ho conosciuta via zoom e ho trovato una giovane donna che mi incuriosiva molto e con cui avevo il piacere di continuare a chiacchierare. Il modo per farlo era fare un film insieme e le ho offerto il ruolo senza che lei mi dovesse dimostrare nulla – non le ho chiesto di reggere una scena, fare un provino o fare un test di alchimia su schermo con Timothée. Sapevo che era un’attrice seria e importante e che avrebbe fatto quello che poteva. Io ho un’attitudine per cui mi piace offrire grosse opportunità e sfide ai miei collaboratori, che sia un attore o no, l’importante è che, se raccoglie la sfida, vada molto più in profondità con l’impeto e la profondità con cui fai le cose. La cosa che mi ha deliziato di Taylor è che ha dato a questo film 100 volte più delle mie più rosee aspettative con una capacità di analisi e di immersione nel personaggio e il suo mondo che sono straordinarie e che nel film si vedono inequivocabilmente.

Mark Rylance lo vidi in un capolavoro di Patrice Chéreau che si chiamava Intimacy, ed era una riflessione di Chéreau in cui 40 anni dopo Ultimo tango a Parigi riguardava alle politiche delle relazioni tra coppie eterosessuali e lo faceva con questo sguardo clinico, tremendo. Questo attore che non conoscevo e Kerry Fox, che invece conoscevo, esploravano in maniera radicale ed esplicita questi due personaggi sconosciuti che decidono di avere rapporti sessuali ogni settimana in questo appartamento. Io rimasi completamente travolto, perché per me gli attori sono soggetti che hanno la potenzialità di esprimere ogni aspetto natura umana, incluso anche quello più radicalmente nudo, in senso letterale e figurativo. Vedere questo grande attore farlo in quel modo mi ha sconvolto e da allora ho sempre pensato a Mark e ho sempre desiderato lavorare con lui. Quando si è presentata questa opportunità è stato straordinario. Sono molto viziato e privilegiato perché l’intero cast di questo film è di attori superbi e straordinari ma anche molto generosi. Ciascuno ha dato a questi personaggi tutto quello che in quel momento poteva dare.

Di chi vi considerate cannibali dal punto di vista artistico? Che tipo di divieto ti attendi per questo film, visto che è per giovani?

Luca Guadagnino:

Non so se guardare ai propri mentori sia paragonabile al cannibalismo sinceramente. Lo sforzo che io faccio – amando il cinema e guardando al cinema da farsi sempre dal punto di vista del cinema che si è fatto – è pensare a qualcuno o qualcosa che mi ha ispirato e, studiando molto bene le fonti, cerco di capire come quella figura avrebbe ragionato quella cosa. Ad esempio: “cosa avrebbe fatto Nicholas Ray in questa situazione?” e non tanto che mi strappo le carni di Nicholas Ray e le digersico. Dico Nicholas Ray perché è forse il regista a cui ho guardato di più per questo film. Penso che il film abbia la vocazione di parlare al suo pubblico trasversale ma con una forza particolare verso il pubblico dei ragazzi, e mi auguro che venga confermato nell’autoclassificazione dei 14 anni.

Timothée Chalamet:

Per me Joaquin Phoenix, Heath Ledger, Edie Falco, Viola Davis, Daniel Day Lewis. Questi sono attori da cui sono profondamente ispirato. Essendo io stesso cresciuto sentendomi un outsider, un weirdo, penso ci sia quasi una linea e un percorso che li collega. Ma anche Luca stesso è per me un grande mentore e una fonte di ispirazione, è autentico, il suo ritmo artistico è irreplicabile e aspiro ad essere come lui: a non sentirmi mai messo in una scatola continuando a fare cose fuori dagli schemi.

Guadagnino, Chalamet e Russell ieri sera hanno presentato il film a Milano in due cinema: al The Space – Odeon era previsto anche un red carpet che è stato tuttavia cancellato per la troppa gente.

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