Essenzialmente director Park è un creativo. Spesso l’ho visto creare o disegnare qualcosa di imprevisto e sorprendente al montaggio, in maniera molto rilassata”.

A parlare è Walter Fasano, montatore famoso per il lavoro con Luca Guadagnino in film che ha anche contribuito a scrivere come Io sono l’amore o montato come Chiamami con il tuo nome, ma anche regista sempre con Guadagnino del documentario Bertolucci on Bertolucci oppure da solo del film Pino. Fasano però ha anche collaborato con Park Chan-wook nel 2014 al cortometraggio A Rose Reborn per Ermengildo Zegna.

Con Walter Fasano abbiamo parlato di Decision to Leave, il nuovo film di Park Chan-wook che è nelle sale italiane dal 2 febbraio, non solo per avere il punto di vista di qualcuno che Park Chan-wook lo conosce sia filmicamente che professionalmente, ma anche per avere il punto di vista di un montatore su un film che sfrutta moltissimo il montaggio.

Innanzitutto, ti è piaciuto?

“Sì mi è piaciuto molto. Di certo da Park Chan-wook non mi aspetto sempre lo stesso film, ma del resto da nessun regista me lo aspetto, questo però mi ha spiazzato. Il cinema degli ultimi 30-40 anni è andato ad esplicitare quello che in Hitchcock era per forza un sottotesto, perché non si poteva mostrare, pensa a Vestito per uccidere di De Palma che esplicita sia la violenza che la sessualità. Ecco Park Chan-wook, che è il regista della violenza e dell’esplicito, adesso fa un passo indietro e in quel genere torna ai sentimenti”.

Sì e poi qui ci metti un po’ a capire quale sia il punto del film.

“È chiaro che siamo dalle parti di un genere noto, c’è l’ispettore un po’ noir che si innamora dell’indagata e da lì comincia un percorso di perdizione o se vuoi di ritrovamento di se stesso, un discorso abbastanza canonico. Ma poi all’interno di questo Park lo dissemina di una serie continua e ininterrotta di segnali discordanti e centrifughi. Non ti fornisce mai gli elementi che pensi di dover ricevere nel momento o nel punto in cui pensi di doverli ricevere, e questo ti apre delle porte invece che chiuderle”.

Cosa ne pensi di come è montato? Per la tua esperienza Park Chan-wook è uno che già sa come vuole che ogni cosa sia montata?

“Guarda lui è un grandissimo regista orchestratore, non solo sa esattamente quello che vuole ma sa anche darsi la libertà di cercare e trovare più di quel che vuole, questo l’ho toccato con mano. Al tempo stesso è anche un grande direttore d’orchestra perché porta i singoli contributi di ogni reparto al massimo. Hai visto come Decision To Leave è meravigliosamente recitato e fotografato? Ma poi anche come scene, costumi make up, musica sono a dei livelli altissimi e rispondono ad una visione chiara, seguono con grandissima puntualità le indicazioni e la mano di Park. E in tutto questo il montaggio è fondamentale”. 

A te che lo fai di lavoro cosa ha colpito?

“La cosa che trovo più interessante non è solo la frammentazione che alcune volte subisce il racconto, anche al di fuori dei canoni del genere, ma proprio le acrobazie visive linguistiche allo stato dell’arte! Tutte le fantasie e le proiezioni personali che vedi quando il detective pedina la donna cinese che è indiziata ma di cui è invaghito, interpretata da Tang Wei, ci permettono come di scavalcare la realtà sia con dei normali tagli che con acrobazie di una semplicità di esecuzione e una puntualità di esito così pulite, cristalline e naturali che lasciano un grandissimo spazio alla narrazione”.

Ma mi pare che non solo il montaggio delle singole scene ma anche le transizioni tra scene e la loro disposizione nel film sia clamoroso.

“Ci sono alcune occasioni di ingresso e uscita dalle scene o di come sono costruiti i blocchi narrativi e anche più in generale proprio di macrocostruzione del film, nei quali la stessa struttura è spiazzante. Le rivoluzioni o i plot point non arrivano quando ti aspetteresti, così ad un certo punto sei perduto e ti chiedi che succederà, perché l’arco narrativo pare terminato. È un perdersi ma il bello è che non è un perdersi senza destinazione”.

decision to leave

Ci sono proprio delle soluzioni in particolare che ti hanno colpito?

“Ti direi quando sono nel poligono di tiro e poi nell’anticamera e parlano di un caso di cui si stanno occupando che ogni tanto compare, funzionale alla messa in discussione di sé del detective, ma anche le scene di interrogatorio domestiche in cui si sviluppa il rapporto tra i due protagonisti che ha quelle rapide uscite di scena. Là dove un film più sprovveduto perderebbe lo spettatore, confondendolo, Decision To Leave è sempre sia dentro che fuori dal genere e sa giocare con te con divertimento e con piacere. E questo pur dandoti elementi che in apparenza sono idiosincratici rispetto a quelli che vorresti!”.

Da come è fatto il film si direbbe che era tutto già montato nella sua testa e girato per essere montato solo in questa maniera, no?

“Non ti credere. Per la mia esperienza director Park non gira molto, ma il numero appropriato di inquadrature e non si copre granchè. Quindi è vero che ci sono dei confini alle possibili combinazioni ma poi è aperto a quel che può avvenire o si può inventare al montaggio. Per A Rose Reborn abbiamo passato molto tempo insieme guardando le scene e lui voleva sempre fare dei tentativi di sparigliare le carte, per trovare qualcosa di diverso dal suo intento originale. Il suo è al tempo stesso un materiale pensato ma poi pronto per andare in altre direzioni”.

Storyboarda i suoi film?

“Sì molto. Il suo è un cinema mentalmente  previsualizzato e di un’arguzia che impressiona, fuori dal comune veramente. Secondo me questo film prima del montaggio era più lungo di 20-30 minuti rispetto alla versione finita. Alle volte si lascia guidare da una luce che chiama all’improvviso uno stacco o da un gesto o uno sguardo di un attore. È il massimo livello di sorpresa, vitalità ed emozione in un sistema apparentemente controllato minuziosamente”.

Trovate tutte le notizie su Decision to Leave nella nostra scheda.

photo credit: Pino Musi

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