Incontriamo Ali Abbasi in collegamento dalla sua magione di Copenhagen per parlare di Holy Spider, il suo terzo lungometraggio dopo Shelley (2016) e Border (2018) in uscita nei cinema italiani a partire da oggi 16 febbraio. Abbasi sarà anche il regista degli ultimi due episodi della serie tv The Last of Us, ma la nostra intervista si concentra esclusivamente su Holy Spider. Il film, ispirato ai 16 omicidi di donne compiuti da Saeed Hanaei dal 2000 al 2001 nella città religiosa iraniana di Mashad, è stato presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes del 2022 dove Zar Amir Ebrahimi ha vinto il premio di Miglior Attrice nei panni della giornalista che dà la caccia al serial killer Arezoo Rahimi. L’assassino è invece interpretato da Mehdi Bajestani.

Spesso citi la differenza tra “serial killer movie” e “serial killer society” e di quanto tu volessi più fare un film sul secondo concetto rispetto al primo. Puoi approfondire il tema?

Il serial killer movie diciamo classico ci porta dentro la testa di un soggetto così eccentrico da cancellare davanti agli occhi dello spettatore qualsiasi aspetto che lo circonda. Sono menti così malate e perverse da annullare ogni tipo di contestualizzazione. Il cinema spesso li affronta come esseri speciali la cui eccezionalità avvicina quei tipi di film al genere horror. Nessuno pensa al background sociale di Buffalo Bill ne Il Silenzio Degli Innocenti (1991). Nessuno immagina che tipo di salario possa percepire e che tipo di lavoro faccia. Anche Seven (1995) va in quella direzione. Per affrontare questo tipo di storia ho preferito avere un approccio più alla M – Il mostro di Düsseldorf (1931) di Fritz Lang perché non mi interessa troppo l’azione omicida o investigativa in sé quanto filmare anche e soprattutto la società attorno all’individuo come quando Lang enfatizza la presenza del mondo attorno a Peter Lorre in M facendolo risultare infinitamente più piccolo, nella seconda parte del film, rispetto a come ce l’ha fatto percepire nella prima. Lang usa un approccio sulla carta da serial killer movie americano ma di fatto ne fa uno europeo perché vuole contestualizzare la figura dell’assassino.

Il tuo serial killer, ispirato al vero Saeed Hanaei ma ovviamente filtrato attraverso la vostra rilettura a partire dalla sceneggiatura che hai scritto con Afshin Kamran Bahrami, pensa di essere un “soldato” razionale in missione per conto di Allah contro il degrado della prostituzione femminile quando invece tu chiaramente prendi posizione mostrandolo come un disturbato sessuale. Mi riferisco a due scene in cui sei molto franco da questo punto di vista: la scena di sesso con la moglie dal sapore di necrofilia e l’allucinazione sonora di una vittima che lo deride. Ti rendi conto che in questo senso inserisci una chiave quasi ironica visto che lo fai sembrare più “americano” che “iraniano”?

Voglio rispondere a questa domanda dicendo che quando sei ubriaco non sai di essere ubriaco e quasi ti indigni se qualcuno te lo fa notare. E comunque sì: il nostro Saeed è sessualmente perverso, e contorto, come e forse anche più di Ted Bundy. E’ molto più simile al classico prodotto sociale disturbato sessualmente come Bundy o Jeffrey Dahmer. Lui cerca una giustificazione nell’Iran e nel Corano per le sue perversioni. Sì è vero, abbiamo preso posizione da questo punto di vista soprattutto evidenziando l’erezione crescente nella scena di sesso con la moglie in relazione al contesto necrofilo in cui si svolge la scena.

holy spider

Adesso ci spostiamo sulla relazione tra il tuo film e il documentario del 2002 And Along Came a Spider firmato Maziar Bahari. Perché nel pre-finale scegli l’ambiguità riguardo i motivi che segnano la sorte di Saeed?

È come se avessi voluto scegliere la via del noir rispetto a quella del true crime. Mi rendo conto che si tratta di una scelta azzardata ma anche da questo punto di vista ho cercato di togliere qualche veridicità per aggiungere mistero e permettere allo spettatore di formarsi la propria opinione senza imboccarlo. L’ottimo lavoro documentaristico di Maziar Bahari fa chiaramente capire che Saeed in tribunale parla troppo e che il governo centrale di Theran, in quel contesto storico, è molto più attento di oggi agli occhi del mondo Occidentale. Sono presenti al processo giornalisti di Reuters, The Guardian, tante reporter giustamente indignate. E’ chiaro che il governo dell’epoca prende una decisione dettata dalla pessima figura internazionale che sta facendo fare Saeed al paese in quel momento storico. E’ ironico pensare che oggi, forse, la decisione potrebbe essere opposta.

Chiudiamo sul cuore del film: Zar Amir Ebrahimi nei panni della reporter Arezoo Rahimi e Mehdi Bajestani in quelli di Saeed Hanaei. Come hai lavorato con loro due dal casting alle riprese? Qual è stata la tua metodologia

La mia metodologia è sempre la stessa con gli attori dai tempi di Shelley e Border. Ritengo che il mio modo di lavorare con gli attori sia: 80% casting, 10% sceneggiatura, 10% set.

Ti puoi spiegare meglio?

Già al casting viene fuori quasi tutto. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Nel senso che è un processo di costruzione del personaggio fondamentale tanto che gli do l’80% della resa finale nel film. 10% di sceneggiatura perché gli attori leggendo il copione non devono fare altro che poi memorizzare le battute e visualizzare le scene. 10% di set perché io a quel punto divento una sorta di personal trainer perché mi devo occupare dei loro bisogni facendo sentire loro la mia totale concentrazione e devozione nei confronti del loro lavoro. Ma per quanto mi riguarda nel casting c’è già l’80% della resa finale.

E specificamente con loro due come è andato il casting?

Ho fatto provini a tutti i più grandi attori iraniani per il ruolo di Saeed Hanaei e ogni volta li vedevo che si sforzavano. Poi un giorno arriva Bajastani e ci propone una sua idea di omicidio rapido e volgare nella sua trasandatezza. Mi colpisce un gesto che fa durante le prove ovvero guardare l’orologio subito dopo aver simulato un assassinio e poi subito dopo controllare alla finestra se qualcuno l’ha visto. Una volta che mi concentro su Bajastani più che su altri interpreti scopro che: 1) possiede e guida la stessa moto del suo personaggio, intendo esattamente lo stesso modello 2) proviene dalla regione di Mashad 3) ha fatto il muratore 4) è stato soldato da giovane. E’ come se Martin Scorsese durante la costruzione di Taxi Driver avesse incontrato un attore 25enne, reduce del Vietnam, tassista, con una passione feticista per i film porno. E’ chiaro che a quel punto a Bajastani non ho dato alcuna indicazione sul set perché era già tutto perfettamente a posto sia per me che per lui. L’idea alla base è portare “giù” il personaggio di Saeed. “Giù” nel senso di normalizzarlo al massimo tanto che alla fine lo inquadro come un essere comune e qui torniamo al concetto di serial killer society al posto di serial killer movie.

E con Zar Amir Ebrahimi come è andata?

Con lei alla fine è venuto fuori che dovessimo fare esattamente il contrario che per Bajestani cioè portarla “su”, quasi idealizzarla e renderla super tanto che enfatizzo molto la sua presenza durante il processo collocandola in quasi tutte le stanze del potere giocando con una percezione di lei quasi sovrannaturale. Anche in questo caso l’80% è casting perché la sua vita, la sua storia personale è già fatta di celebrità, sfiducia e paranoia nei confronti del potere e del mondo maschile. Lei è già in opposizione all’Iran prima del casting di Holy Spider. Ho pensato che questo fosse perfetto per il suo ruolo.

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