Candyman, la recensione

Quando c’è Jordan Peele di mezzo il punto di tutto è sempre il corpo afroamericano. Non più il corpo vessato e martoriato dalle botte o dal maltrattamento com’è stato per decenni nel cinema bianco anti-razzista (e in fondo anche in 12 anni schiavo) ma il corpo di afroamericani benestanti che è abitato da altri, agito da altri. È quella la paura principale su cui lavora Peele mentre ci distrae con film che raccontano di altro: il fatto che la società si voglia appropriare del corpo nero e usarlo.

Per Candyman la storia riprende direttamente quella del film del 1992, i cui eventi sono anche ri-narrati in forma di backstory. Questo film rimette ordine nella mitologia del Candyman utilizzando personaggi (e attori) del primo film e riprendendone direttamente il tema cruciale, cioè la riqualificazione del quartiere di Cabrini-Green a Chicago.

Questo diretto da Nia DaCosta è un gentrification horror che scarta i quasi obbligatori richiami allo slasher anni ’80, i...