La recensione di Come pecore in mezzo ai lupi, in uscita il 13 luglio in sala

Non c’è nessuno stupore nel leggere il solo nome di Filippo Gravino accredito alla sceneggiatura sui titoli di coda di Come pecore in mezzo ai lupi. Sono poco più di dieci anni che questo nome sta alla fine delle produzioni italiane più interessanti (Perez., alcuni episodi di Gomorra, Alaska, Veloce come il vento, Il primo re, Alì ha gli occhi azzurri, Fiore, La terra dei figli…). Come pecore in mezzo ai lupi è forse il suo script più semplice e dritto: una storia polar alla francese, fatta di doppi giochi (Vera, la protagonista, è un’infiltrata della polizia tra i criminali) e poste in gioco alte (l’infiltrazione le ha distrutto la vita e almeno deve far arrestare dei rapinatori di alto livello e pochi scrupoli), in cui si inserisce la carta matta del sentimento (tra i pesci piccoli arruolati per la grande rapina compare il fratello di Vera, la cui situazione disastrata lo spinge a cercare dei soldi p...