Falling, la recensione

Nasce sicuramente da un’esigenza personale Falling. Non solo perché si tratta dell’esordio alla regia e nella sceneggiatura di Viggo Mortensen in un film in cui questo ci mette anche la faccia come co-protagonista; ma perché, soprattutto, emana una voglia incredibile del suo autore di fare un tipo di cinema dove è il gioco dei sentimenti – non lo studio dell’immagine – e la capacità appunto attoriale di sfumare i confini delle emozioni a fare da architrave al film. Tutto ciò è lampante. Quale sia però questa esigenza è difficile capirlo, perché in questo tormentato dramma sul rapporto padre-figlio (e che Mortensen dedica ai suoi due fratelli) il tema è chiaro ma il focus è confuso, si moltiplica attraverso una serie di “lenti narrative” che propongono la storia attraverso fin troppi punti di osservazione. 

Malato di demenza, sessuomane, misogino, omofobo: il protagonista Willis (Lance He...