La recensione di Io e Lulu, al cinema dal 12 maggio

Non è facile dirigere se stessi. Specialmente se si è protagonisti del film. Specialmente se il film è pensato per mettere in luce se stessi come attori. Bisogna conoscere così bene il proprio corpo e avere una cognizione così precisa di come funzioni una volta ripreso da non necessitare nessun occhio esterno e sapersi posizionare nello spazio sempre bene. La cognizione che Channing Tatum mostra di avere di se stesso è più o meno di un uomo seduto al tramonto, di un corpo pensato per attirare, di un feticcio da ammirare, calamita per diverse donne lungo il film, più che dispositivo attraente per quel che fa. È così che attraversa Io e Lulu: trattandosi come un oggetto del desiderio.

Non è però la parte più grave di questo esordio alla regia che desidera molto vincere facile con la storia on the road (diverse location = diversi personaggi incontrati = diverse avventure senza bisogno di un grande intreccio) con cane, in cui con poca ori...