JUDY, DI RUPERT GOLD: LA RECENSIONE

Quella di Judy è la storia di una vittima, non ci sono dubbi. Non una vittima dei propri demoni né una vittima di genitori violenti o di un marito spietato, bensì una vittima dello showbusiness. È espresso con una chiarezza inequivocabile nei flashback in cui, sul set di Il Mago di Oz, viene rimessa in riga, educata e inquadrata da Luis B. Mayer. In quelle scene il boss e fondatore della Metro Goldwin Mayer sembra un mangiafuoco onnipotente, sembra il suo creatore benevolo che le impone con dolcezza il proprio volere, un gigante meschino che dà l’impressione in ogni momento di poterla fisicamente distruggere, come se lei fosse un robot terrorizzato dal fatto che lui possa in ogni momento disattivarla.

È uno dei momenti di cinema migliori di un film che invece indugia molto su questa storia di vittima. Nel dipingere Judy Garland nell’ultimo periodo della sua vita, piena di problemi dovuti a quella vita e quell’educazione, il film di Rupert Gold