La recensione di Sì, chef! – La brigade, al cinema dal 7 dicembre

Inizia come un semplice feel-good movie per poi colpirti al cuore quando meno te lo aspetti. Un po’ come CODA – I segni del cuore, miglior film agli Oscar 2021, anche Sì, chef! – La brigade di Louis-Julien Petit non solo è una commedia francese di grande scrittura, ma ha quelle medesime caratteristiche che sanno prendere il grande pubblico: semplicità narrativa, profondità tematica e la tremenda capacità di creare momenti emozionanti.

La storia ha la più classica delle premesse dei film culinari: una fredda sous-chef di haute-cuisine Cathy Marie (Audrey Lamy), stanca di essere sminuita dalla chef/star televisiva per cui lavora, si licenzia. Così, spinta dalla necessità (vorrebbe aprire un ristorante tutto suo) Cathy Marie cede al compromesso e comincia a lavorare nella mensa di una comunità per migranti minorenni che aspettano di essere regolarizzati. Dall’apice della piramide sociale, un mondo di successo ma anempatico, Cathy compirà quindi un percorso di scoperta personale che si compirà alle pendici della società, nel mondo degli invisibili. Un’immersione anche etica che, motivata dal suo passato, farà scoprire a Cathy il valore della fragilità offrendole uno sguardo totalmente nuovo sul mondo.

Già solamente per il modo in cui Sì, chef! – La brigade tesse la trama nel suo livello più superficiale è subito lampante la qualità della scrittura di Louis-Julien Petit, Liza Benguigui e Sophie Bensadoun. Per prima cosa perché, qualità non scontata, il film la trova nelle dinamiche tra personaggi e non solo nelle situazioni (per questo non si parla di comico ma, appunto, di commedia); secondo, perché riesce a rendere fluido e naturale quel passaggio di ritmo (con conseguente cambio di tono) che introduce alla grande rivelazione emotiva.

La qualità davvero notevole di Sì, chef! – La brigade è però più di tutte il fatto che nella clamorosa semplicità del suo intreccio tematizza con trasporto ma senza moralismi una delle questioni cardine del cinema francese, quella dei migranti. Bastano infatti pochi tratti caratteriali per creare dietro ogni ragazzo una storia, un conflitto lavorativo che diventa morale (quello di Cathy Marie) per dare spessore alla storia e la delicatezza di una scrittura a togliere – nei momenti clou – per fare di Sì, chef! – La brigade la perfetta commedia da grande pubblico.

Louis-Julien Petit, pur seguendo un registro anch’esso a togliere durante tutta la prima parte, dimostra tutta la sua esperienza e intelligenza registica quando la trama lo richiede, creando un intermezzo di immagini e montaggio che per quanto a un primo sguardo sembri disorientante rispetto al resto, in realtà funziona perfettamente per introdurre ciò che verrà. Settando il tono, creando narrazione per immagini.

Sì, chef! – La brigade non è quindi tanto un film di cucina, ma una commedia che usa il mondo della cucina come espediente per parlare di una certa realtà sociale. Con un semplicità disarmante e grande qualità narrativa.

Siete d’accordo con la nostra recensione di Si, Chef – La brigade? Scrivetelo nei commenti!

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