La recensione di Smile, in uscita al cinema dal 29 settembre

In un genere, l‘horror sovrannaturale delle maledizioni, che non brilla per dialoghi, Smile si distingue per una scrittura di particolare bruttezza. A suo modo un’eccellenza. Quel che viene detto, come viene detto e il tempismo con cui viene detto si attestano a livelli molto alti di innaturalismo. Tutto è lontano dalla maniera in cui le persone parlano e semmai molto vicino a quel che serve venga detto per mandare avanti la trama. Smile infatti sembra proprio un’esercitazione di una scuola di sceneggiatura, in cui viene chiesto di scrivere una storia con uno spunto originale ma che rispetti tutti i passaggi obbligati del genere, senza saltarne nessuno, in modo da far vedere di averli imparati bene. 

La maledizione del “vedo le persone sorridere male” infatti viene prima contratta, poi il mondo intorno alla protagonista non capisce cosa le accade e la scambia per matta, dopodiché inizia ad indagare riguardo cosa le stia...