C’è un bambino di meno di dieci anni al centro di Sivas, un motore potentissimo e inarrestabile, tenace e coriaceo. Dalla sua forza e dal dinamismo che mette in moto con la sua ostinazione, il suo caratteraccio e l’attaccamento ad un cane da combattimento, viene tutta l’attrattiva di Sivas. Perchè per altri versi la storia sarebbe molto semplice, si tratta della parabola del cane del titolo, abbandonato dopo una sconfitta, recuperato e messo in sesto dal bambino fino al ritorno ai combattimenti per terminare con un interrogativo sul futuro. Invece, animata dalla potenza di Dogan Izci, la storia si apre e diventa un racconto morale sulla forza.

Il contrasto tra un bambino piccoletto e un feroce cane muscolosissimo (bellissimi i combattimenti tra cani, coreografie corredate da un sound design perfetto, usato solo per rendere l’impatto la furia, il pericolo e il terrore) è la discrasia che muove tutto, su quel disequilibrio si gioca il fascino deforme del film. Non...