Così lontano così vicino è arrivato 30 anni fa, nel 1993. È il seguito de Il cielo sopra Berlino del 1987. Tra i due c’è un Wim Wenders diverso, profondamente cambiato, pur mantenendo il suo occhio fotografico. Cambiano, pur restando identici, i suoi angeli nelle strade di Berlino che osservano l’esistenza umana con partecipe solidarietà. È un regista che dall’astrazione fanta-documentaristica del primo film è passato a un mix di generi (il noir, il dramma sdolcinato e la fiaba moralista) per dire una cosa: i sogni sono cambiati.

Il cielo sopra Berlino

Ne Il cielo sopra Berlino due angeli, Damiel e Cassiel, camminano invisibili nelle strade divise dal muro. Due angeli custodi che percepiscono il mondo in bianco e nero e si chiedono come sia essere umani. Damiel incontra Peter Falk (il tenente Colombo) nei panni di se stesso. Anche lui era un angelo ma ha deciso di vivere da uomo. Così può percepire i suoi simili, ma non vederli. Damiel è affascinato da una trapezista, Marion, che sta abbandonando il sogno del circo. La sera eseguirà il suo ultimo numero con un costume alato che le dà fastidio. Si vorrebbe togliere quell’inutile orpello, abbandonare le ali.

Wim Wenders nel 1987 girava il film come tappabuchi in attesa di potersi mettere all’opera su Fino alla fine del mondo. Camminando per Berlino si appuntò quello che vedeva e lo fece percepire al suo personaggio: Damiel, l’angelo che decide di diventare uomo. 

Nell’entusiasmo sensoriale che connotava Il cielo sopra Berlino, l’assenza di una narrazione prevalente, ma solo di una serie di vite intrecciate, rendeva il film un canto di lode. Se fosse musica si definirebbe come una composizione religiosa a cui sono applicate parole laiche, politiche, sociologiche. Wenders faceva respirare il sapore d’Europa. Il sogno di un cielo che unisce le due città, incurante del muro che le divide.

Un’opera potente, uno dei capolavori del regista, che delega il suo messaggio di universalismo alla molteplicità delle lingue in scena. Mescola più stili cinematografici, a volte immergendosi nell’immedesimazione, altre volte mostrando l’artificio del montaggio. Le voci del popolo che i due angeli ascoltano, e comprendono, provengono dalla diversità culturale ed etnica che si riunisce nel quartier generale del progresso e della Storia: la Biblioteca di Stato.

Collante delle sezioni, svolge la funzione di narratrice la poesia di Peter Handke “elogio dell’infanzia”. Il cielo sopra Berlino dava con queste parole l’emozione di una gravidanza, di un qualcosa di nuovo e misterioso che sta per nascere.

così lontano così vicino

Così lontano così vicino

Così lontano così vicino parte da Cassiel. L’angelo che, a differenza di Damiel (che ora vive con la sua famiglia), era rimasto un osservatore ininfluente. Dopo la riunificazione qualcosa è cambiato: c’è un proposito che va oltre il semplice vivere. Dove prima al film bastava solo una storia d’amore per darsi un confine di senso, ora si richiede una trama. 

Il regista che prima voleva far sentire l’entusiasmo di esistere, ora descrive le pene della mortalità. È un sogno infranto. La speranza di un paradiso umano, seppur ancora molto migliorabile, ne Il cielo sopra Berlino, e la nuova caduta dalla grazia nel suo amaro seguito. In questo film che si svolge tutto su alti e bassi, sui movimenti di ascesa e discesa, le città tendono in alto, ma gli uomini nel basso preparano il ritorno del male.

Cassiel vede una bambina precipitare. Fa la scelta di diventare umano per salvarla. Da lì, per lui, è tutto un cadere in una spirale che Damiel invece ha evitato. Prova i piaceri illusori, l’ebbrezza dell’alcol, la vendetta e la violenza. Vicino a lui c’è un nuovo personaggio Emit Flesti (Willem Dafoe) il cui nome suggerisce essere il tempo stesso. Time Itself al contrario. 

Il suo compito è accorciare la permanenza terrena dell’angelo. Questo si butta in intricate avventure (poco riuscite e non troppo ispirate). Intanto il film si sfilaccia. Sotto la sua voglia di sentenziare le misure da prendere per invertire la rotta, si perde anche il sogno del progresso.

Così lontano così vicino si apre con un cameo di Michail Gorbačëv, dentro c’è Lou Reed e una colonna sonora pazzesca con brani di Nick Cave, U2 e Laurie Anderson. Alle voci che prima si accumulavano nelle orecchie degli angeli ora ci sono i messaggi di pace dello star system. Poco più di un fischio per le persone ai confini tra i due mondi. Molto retoriche per gli spettatori.

Per dire di più, per mostrare anche il nero in questo sguardo dal cielo che prima era composto di sfumature di grigio, Wim Wenders si ritrova a comunicare meno. C’è una bella differenza tra usare un linguaggio poetico e fare poesia!

Proprio come nel titolo, la distanza scelta è sbagliata. Il cielo sopra Berlino riusciva a dar l’impressione di essere in un osservatorio privilegiato per avere speranza nel futuro. Ora la cinepresa si posiziona troppo vicina alle faccende del mondo. La prospettiva che ha la stragrande maggioranza dei cineasti. Tutti i film raccontano questo, le azioni, i crimini, le trame. Al contempo però la voce del regista pretende di appartenere a una saggezza lontana e infallibile. 

Poco di quello che voleva comunicare Così lontano così vicino arriva emotivamente, oltre che razionalmente. Però a 30 anni di distanza ci si può riconoscere nel sentimento preoccupato che esprime verso la nostra società, verso il sogno europeo. Il nostro presente è distante dalla speranza del Cielo sopra Berlino. Come simboleggiato dal personaggio di Willem Dafoe, il tempo per fare qualcosa di buono, per continuare verso un’utopia terrestre (ovvero un’umanità matura) sta scadendo.

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