Aladdin e Robin Williams 30 anni fa crearono la nuova era nel doppiaggio dell’animazione

Non è stato di certo Aladdin il primo film d’animazione ad essere stato doppiato da un talent e nemmeno il primo ad essere doppiato da un talent molto importante (Peter Ustinov già doppiava il principe Giovanni nel Robin Hood del 1973), ma la presenza, l’importanza e soprattutto l’uso di Robin Williams nella promozione del progetto hanno cambiato tutto. Un uso che lo stesso Williams aveva chiesto espressamente che non fosse quello, cosa che ha portato ad una faida durissima tra lui e la Disney ma che, alla fine, ha cambiato tutto il marketing del cinema animato per almeno 20 anni (e ancora oggi gli effetti si sentono).

Era l’era Katzenberg e Eisner, il rinascimento Disney che rimise in piedi lo studio da che sembrava che effettivamente dovesse chiudere il comparto animazione (un rischio che si ripresenta periodicamente nella storia Disney). Era stato Basil l’investigatopo il film cruciale, con quello i nuovi capi Michael Eisner e Jeffrey Katzenberg avevano tentato l’ultima mossa. Si trattava del primo lungometraggio che curavano interamente, soprattutto a livello promozionale, e dal suo esito avrebbero deciso se il pubblico era ancora interessato o no ai cartoni Disney. Andò bene e quindi si rilanciò con Oliver & Company, in cui i doppiatori-talent furono raddoppiati (non erano i più famosi possibili ma erano tanti: Billy Joel, Dom DeLuise, Cheech Martin, Robert Loggia, Bette Midler) e l’incassò fu doppio. L’assunto di Eisner e Katzenberg era stato provato: non solo il pubblico è ancora interessato ai cartoni Disney ma c’è un potenziale molto grande nell’uso di nomi noti per il doppiaggio.

aladdin genio

I due film successivi che finiscono di rivedere il format per il rinascimento Disney sono La Sirenetta e La bella e la bestia. Non hanno grandi talent ma rimettono al centro di tutto storie di principesse trasformandole da remissive in attive, da protagoniste immobili in personaggi pieni di desiderio e volontà, adolescenti che disobbediscono ai genitori, fuggono da casa e cercano una realizzazione altrove (solo per poi tornare all’ovile alla fine e restaurare l’equilibrio iniziale ma in una posizione dominante), creano un nuovo mood musicale molto più vicino al musical di Broadway e cominciano ad incorporare la computer grafica là dove possibile. Sono quindi film innovativi, spettacolari e musicalmente accattivanti. Sono successi pazzeschi.

Il progetto: Aladdin

Così quando arriva il turno di Aladdin Katzenberg fonde i temi e il mood dell’ormai avviato Rinascimento Disney con un lavoro sopra le righe per la star del doppiaggio. Il genio era stato pensato come uno stand up comedian e tra John Candy, Eddie Murphy e Steve Martin alla fine si optò per Robin Williams, la cui stella era in ascesa verticale dopo Good Morning Vietnam e L’attimo fuggente. Inoltre prima dell’uscita di Aladdin sarebbe anche stato in Hook (una favolone spettacolare di Steven Spielberg), e quindi sarebbe stato noto non solo al pubblico adulto. Quando Robin Williams firma il contratto i rapporti sono così idilliaci che invece dei circa 8 milioni che potrebbe chiedere accetta di lavorare per il minimo sindacale, 75.000 dollari, è una forma di ringraziamento per Good Morning Vietnam, il primo vero film che ha lanciato la sua carriera al cinema che era della Touchstone (una costola Disney). C’è solo una richiesta specifica che fa: la sua voce e il suo nome non devono essere usati per più del 25% del materiale promozionale e non per il merchandising. La ragione è un po’ il fatto che un mese dopo Aladdin sarebbe uscito Toys, cui teneva molto, e un po’ che non voleva “vendere”, voleva solo fare il film. Stringe la mano di Katzenberg, è una promessa.

aladdin sirenetta

Come noto la performance di Robin Williams è gigantesca, gli animatori dovettero seguire lui e non lui seguire le linee guida della sceneggiatura (per i cartoni americani il doppiaggio viene sempre prima della fase di disegno, non viceversa). Non aveva rispettato sempre quel che doveva dire, inventava, creava, aggiungeva e metteva la sua ironia e il suo umorismo ovunque. Al suo genio fa fare un totale di 52 personaggi diversi durante la registrazione, molti furono tagliati ma il meglio venne inglobato e animato in quello che, se lo si guarda con quegli occhi, è una specie di continua rincorsa delle immagini per illustrare ciò che Williams dice.

La guerra tra Williams e la Disney

La produzione va a gonfie vele e la Disney rispetta l’accordo. In tutto il materiale iniziale e nella fase di teasing il nome di Williams è della stessa grandezza degli altri attori e il personaggio del genio non è più grande o più in evidenza degli altri, anzi la lampada è la parte più importante. Poi qualcosa si rompe. A Williams era stato proposto anche un altro ruolo da doppiatore, per Fern Gully, in cui è un pipistrello. Disney non vuole, perché sottrarrebbe unicità al loro film, solo che il contratto per Fern Gully è stato firmato prima che la Disney lo approcciasse per Aladdin, e nonostante l’insistenza di Katzenberg Robin Williams non vuole rescinderlo e tirarsi fuori da Fern Gully (una produzione indipendente, piccola e dai temi ecologisti a cui lui tiene) soltanto perché lo dice Disney. “È la mia voce, decido io” è la frase. 

genio robin williams doppiaggio

A questo punto inizia la guerra. L’atteggiamento di Disney cambia radicalmente. Non solo comincia a mettere i bastoni tra le ruote alla produzione di Fern Gully come può, facendogli aumentare l’affitto degli spazi in cui lavorano, cercando di comprare le strutture in cui vorrebbero ampliare i loro uffici, ma anche cominciando ad usare il nome e l’immagine di Williams per la promozione in modi molto superiori al 25% pattuito. Alla fine, all’uscita di Aladdin, il genio sarà ovunque. Sarà il personaggio più grande nel poster ufficiale, sarà negli Happy Meal della McDonald’s, sarà usato per vendere di tutto e addirittura la voce di Williams sarà usata per vendere. Alle volte è proprio la sua voce dal film, altre volte il genio viene ridoppiato per fargli dire i claim delle pubblicità. 

Da una parte Robin Williams li accusa, anche pubblicamente, non esita a manifestare il disgusto (“Disegnano Topolino con tre dita così non può prendere gli assegni”), dall’altra la Disney sostiene di agire in modi pienamente conformi ai contratti che sono stati firmati. Quando ai Golden Globe Robin Williams viene premiato rimarrà 3 minuti sul palco (tantissimo per gli standard di un discorso di accettazione) e non nominerà mai la Disney (ma farà un ironico saluto a Katzenberg in prima fila). Ovviamente per il sequel straight to video Il ritorno di Jafar devono trovarsi un sostituto (Dan Castellaneta), nonostante la Disney avesse regalato a Williams un Picasso da un 1 milione di dollari (un autoritratto) per farsi perdonare.

L’unica cosa che riconcilierà le due parti sarà un cambio e delle scuse. Dopo la fine dell’era Katzenberg il nuovo boss Joe Roth si cosparse il capo di cenere, chiese scusa pubblicamente e ammise che la Disney aveva fatto l’opposto di quel che aveva detto. E così il secondo sequel straight to video di Aladdin, Il re dei ladri, ha la voce di Williams e da quel momento l’attore ha doppiato più volte il genio ma sempre per video a sfondo didattico.

La Dreamworks e l’industrializzazione del doppiaggio

Questa è solo parte della fine della storia però. La parte che riguarda Disney e Williams. Perché intanto la dipartita di Katzenberg è l’origine di un’altra storia, quella della Dreamworks Animation, che Katzenberg fonda con Spielberg e Geffen. Lì prosegue e anzi aumenta la politica delle star doppiatori. La Dreamworks infatti viene lanciata con due film, Z la formica e Il principe d’Egitto. È il 1998 e uno è il classico film dallo spietato atteggiamento commerciale, mentre il secondo è un tentativo unico nella storia recente del cinema animato di fare qualcosa di complicato, adulto e infantile al tempo stesso, un cartone blockbuster religioso per tutti. Entrambi sono accomunati da una cosa però: un uso massiccio dei talent. 

aladdin doppiaggio williams

In Z la formica i personaggi sono a forma di Woody Allen, Sharon Stone e Sylvester Stallone, in Il principe d’Egitto praticamente qualunque personaggio è doppiato da una star. È l’inizio di uno sfruttamento intensivo al di là di qualsiasi senso. Solo tre anni dopo quei due film Shrek segnerà un nuovo standard al box office con una storia molto più moderna e piena di citazionismo pop, fondata sui suoi talent che sono molto più ingombranti dei personaggi che doppiano. Senza contare la maniera svergognata in cui vengono sfruttati per tutta la promozione. I film Dreamworks diventano guidati dalle star, i cast di doppiatori sono sempre più grossi e hanno una parte sempre più cruciale nei trailer. È il caso di Madgascar, di L’era glaciale di Emoji – Il film, di Shark Tale e Kung Fu Panda.

È la nuova era che tiene banco per almeno quindici anni incontrastati. Sono i quindici anni di esplosione dell’animazione moderna, in cui nascono nuovi studi e il dominio Disney è distrutto dall’arrivo di tantissima concorrenza che punta proprio sui cast, i doppiatori e i volti famosi. Più sono meglio è, e molti di questi film sono orrendi. Ci vorrà un altro cambio, sempre in Disney, per riportare tutto a standard più normali. A partire da Rapunzel, quando inizia una nuova fase ancora in quello che ormai è diventato il mondo Disney/Pixar, il doppiaggio da parte delle star non solo si modera e non è più usato come un cannone pubblicitario ma è anche più appropriato. Non vengono scelti solo i nomi più grandi, ma quelli più sensati per le parti, non vengono messi ovunque ma sono altri elementi dei film a fare da testa d’ariete per la vendita di biglietti. 

È la fine di quei 25 anni folli di ubriacatura dei doppatori-star, anche se quella tecnica di marketing ad oggi è ancora presente in molti film d’animazione di studi minori, che sfoggiano cast immensi di terze linee dello stardom, nomi improbabili e attori che nonostante non siano proprio all’apice della loro carriera hanno molta più rilevanza dei personaggi che doppiano.

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