Silent Night – il silenzio della vendetta è al cinema dal 30 novembre

Fa sorridere che, proprio mentre ci apprestiamo a scrivere un pezzo sull’influenza decisiva di John Woo sull’action a Hollywood, sia uscito da poco su Netflix un film di David Fincher intitolato The Killer, proprio come uno dei film più famosi (e più belli) del maestro di Hong Kong, nonché uno di quelli che lo stesso Woo vorrebbe da anni rifare in lingua inglese. È impossibile parlare di action senza inciampare prima o poi in John Woo, direttamente o collateralmente. Senza tregua, il suo primo film americano, uscì nel 1993: questo significa che è da ben più di trent’anni che i film di John Woo lavorano per plasmare un intero genere, e anche, collateralmente, per convincere i più scettici che si può essere autori anche usando la violenza, esagerandola ed estetizzandola e trasformandola in arte.

Spesso, quando si parla di influenza di un autore, si tende a concentrarsi sulle questioni tematiche, su idee ricorrenti che possono diventare ossessioni. Non tutti i film ispirati a Lynch contengono delle tende rosse, ma tutti in qualche modo parlano di confusione tra realtà e fantasia o tra diversi piani di realtà, e possono essere descritti come “onirici”. Il bello di John Woo, che lo rende così identificabile come matrice a partire dalla quale si sono sviluppati gli ultimi trent’anni di action a Hollywood, è che la sua influenza è invece prevalentemente estetica. Non tutti i film influenzati da John Woo trattano i suoi temi preferiti, lui che nel periodo più puramente action della sua carriera a Hong Kong ha raccontato storie di criminali, di poliziotti e del pericoloso incrocio tra questi due estremi che spesso arrivano a toccarsi; e in fondo nemmeno tutti i film di John Woo trattano i suoi temi preferiti! Lui per esempio non ama la fantascienza, ma ha diretto comunque un film tratto da Philip Dick, Paycheck (che d’accordo, non è la sua opera migliore, diciamo).

Hard Boiled

Ma guardate questa foto, e ripensate a quante volte l’avete vista replicata negli ultimi trent’anni. Potremmo aprire un elenco infinito: Matrix, John Wick, The Raid, Max Payne, qualcosa di Tarantino, qualcosa di Rodriguez, tutti i Mission: Impossible successivi al secondo, Fast and Furious… John Woo è arrivato a Hollywood con alle spalle una lunga esperienza tra wuxia, gun fu e bullet ballet, ma soprattutto con un bagaglio strabordante di immagini memorabili e riutilizzabili in una miriade di contesti diversi, come dimostra il fatto che siano state appunto riutilizzate in una miriade di contesti diversi – ci sono momenti ispirati ai film di John Woo persino in un paio di capitoli di Shrek, per intenderci.

Ci arrivò, a Hollywood intendiamo, perché ci voleva arrivare: all’inizio degli anni Novanta John Woo sentiva di avere completato la missione “il cinema di Hong Kong”, vincendo tutto il possibile, influenzando un’intera generazione di cineasti, lanciando le carriere di alcune delle più grandi star della storia delle arti marziali e non solo. Il problema è che la situazione non lo soddisfaceva, per una serie di motivi. Woo era cresciuto guardando i film di Hollywood, e il suo stile, che aveva cambiato il volto dell’action a Hong Kong, era a sua volta derivativo, per quanto rielaborato e personalizzato. Come altri grandi registi di Hong Kong e più in generale orientali (pensate a Kurosawa), John Woo si era formato guardando un sacco di western: il frequente uso che fa della slow motion, per esempio, lo prese da Peckinpah e in particolare da questa scena. Era cresciuto guardando i film di Scorsese ma anche quelli di Bob Fosse, e aveva da ciascuno pescato pezzi del suo immaginario, adattandoli al suo mondo, inteso in senso personale ma anche geopolitico.

John Woo Paycheck

Eppure, nonostante facesse da un quarto di secolo film strapieni di elementi occidentali per quanto hongkongizzati, all’inizio degli anni Novanta John Woo era ancora un mezzo sconosciuto negli Stati Uniti. Piaceva ai cinefili, agli orientalisti e a quella ristretta fetta di pubblico che amava sbattersi per recuperare improbabili VHS di importazione con gemme (da Hong Kong ma anche dal Giappone e poi dall’India) che non avevano alcuna speranza di ottenere una distribuzione cinematografica – in sostanza piaceva a Tarantino, e piaceva anche ad altri grandi autori che l’avevano scoperto a questo o quel festival, o perché qualcuno gliene aveva parlato. Ma non era ancora arrivato al pubblico vero, quello che riempie le sale.

Per arrivarci passò dai festival, appunto: The Killer venne presentato al Sundance, per esempio, e quattro anni dopo Hard Boiled a Toronto. Proprio quest’ultimo conobbe per la prima volta una qualche forma di passaggio in sala negli Stati Uniti, dove venne accolto abbastanza bene da convincere sia Hollywood, sia lo stesso Woo che fosse arrivato il momento di tentare il salto di oceano.

Face off

È in questo modo che le sue idee, le sue visioni, le sue colombe e i suoi occhiali da sole e le doppie pistole e le scene al rallentatore, cominciarono a venire assimilate dal pubblico occidentale, addolcite e semplificate per l’occasione e rese più digeribili anche grazie alla presenza di volti noti e rassicuranti – John Travolta, Christian Slater, più avanti Nicolas Cage, esattamente le facce che serviva mettere sulla locandina di un film diretto da un regista non bianco per venderlo a un pubblico ancora diffidente. La svolta decisiva fu con ogni probabilità il volgere del millennio, quando a John Woo venne affidato un film con Tom Cruise, forse la massima manifestazione possibile (allora come ora) del concetto di “avercela fatta a Hollywood”.

Con il suo ingresso sulla scena hollywoodiana, e di conseguenza la rapida riscoperta delle sue opere precedenti che cominciarono a ricevere l’attenzione che avevano sempre meritato ma mai ottenuto, il pubblico si rese conto di quanto il suo modo di mettere in scena certe situazioni fosse il migliore possibile, un sogno, un modello al quale aspirare e dal quale farsi ispirare. Post-2000 ci fu, nell’action e non per forza solo lì, un’esplosione di johnwoo-ismo: era impossibile in quegli anni vedere un film di genere senza imbattersi in un po’ di slow mo artistica, o in una sparatoria infinita che termina con uno stallo alla messicana, o in un volo di uccelli usati in maniera simbolica. Il piano sequenza come massima manifestazione di creatività, talento e anche rigore artistico, usato solitamente in una scena madre con tanta azione e pochi dialoghi? Ecco da dove viene:

In fondo è molto facile spiegare come e perché John Woo abbia cambiato l’action a Hollywood: basta chiederlo ai Tarantino e ai Rodriguez ma anche ai Chad Stahelski e ai Gareth Evans e ai Phil Abraham (quello che ha diretto la prima delle tante scene di botte in piano sequenza della serie Daredevil)… Vi diranno tutti la stessa cosa, o una variazione sul tema: ho visto i suoi film, ho capito che certe cose si possono girare in questo modo, ho cominciato a provarci anch’io. Tutti quanti vogliono essere John Woo, da quando hanno scoperto Hard Boiled se non da prima: non sono in tanti a poter vantare un impatto simile sulla storia del cinema.

Silent Night – Il silenzio della vendetta è al cinema dal 30 novembre

Vi ricordiamo che Silent Night – Il silenzio della vendetta, con protagonista Joel Kinnaman, arriverà nelle sale italiane il 30 novembre: le prevendite sono già aperte, potete scoprire le prime sale disponibili in questa pagina. Il film ha la particolarità di essere privo di dialoghi, ma preserva lo stile inconfondibile del regista, che porta alla sintesi estrema il suo approccio al cinema action, concentrandosi proprio sull’azione. Sarà una nuova svolta per questo genere? Il tempo ce lo dirà, ma se c’è un regista che può dettare le regole del cinema action, questo è John Woo…

Articolo in collaborazione con Plaion Pictures

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