The Gentlemen è su Amazon Prime Video

La carriera di Guy Ritchie ricorda un po’ quella famosa scena del Padrino parte III, ma al contrario: ogni volta che fa qualcosa che sembra allontanarlo dall’ovile e dallo stile che l’ha reso famoso (e ricco), viene tirato dentro di nuovo, o meglio si tira dentro di nuovo, ritorna a casa, alle sue atmosfere, alle sue storie inutilmente e deliziosamente intricate, ai suoi criminali stilosi. Sarà perché spesso le sue deviazioni (dal remake di Travolti da un insolito destino ad Aladdin) non funzionano come dovrebbero, sarà perché ogni volta che prova a fare qualcosa di diverso si ricorda che in realtà il motivo per cui gli piace fare cinema è quello, fatto sta che è dai tempi del primo esperimento (Sherlock Holmes, un film in costume) che il regista inglese alterna “film alla Guy Ritchie” e semplici “film di Guy Ritchie”. The Gentlemen è un esempio perfetto del perché regolarmente gli torni voglia di fare un film alla Guy Ritchie.

Vi sveliamo un segreto: si invecchia, prima o poi, inevitabilmente. E invecchiando cambiano i gusti, a volte; gli interessi, gli argomenti che ci stuzzicano, il modo in cui riempiamo il nostro tempo libero. Altre volte però i gusti non cambiano radicalmente ma si modificano: ti piacciono le stesse cose, ma magari più lente, o più raffinate, o al contrario più grezze e naturali. Per ogni genere e sottogenere esistono mille declinazioni, proprio per venire incontro a questa fluidità. Tutto questo giro di parole per dire che al Guy Ritchie di The Gentlemen, che non ha più l’isteria dei trent’anni a malapena di Lock&Stock, piacciono ancora i thriller, le sparatorie, i gangster e le storiacce complicate. Solo che gli piacciono raccontate in un altro modo, più rilassato, più giocoso, con meno smania di dimostrare qualcosa a ogni inquadratura e più voglia di divertirsi con i tempi e gli spazi cinematografici, dilatandoli fino ai confini del western.

Hunnam Farrell

The Gentlemen è tutta una grande storia, e viene incorniciato come tale e intersecata anche con una meta-sceneggiatura del film stesso che è solo una delle 1.347 diverse pistole di Cechov che Ritchie dissemina nelle quasi due ore di durata. È un racconto fatto da un giornalista d’assalto a uno dei criminali che ha deciso scioccamente di ricattare, una doppia cornice quindi: la più esterna è quella cinematografica nella quale si muovono, come sul palco di un teatro, Hugh Grant e Charlie Hunnam, e al suo interno sta quella meta-narrativa che ci mette al corrente dei fatti tramite il punto di vista di chi li ha seguiti da lontano, armato di pazienza e teleobiettivo. È un giochino molto classico ma gestito molto bene da Ritchie, che nel momento in cui affida l’intera storia a un narratore inaffidabile ottiene il permesso di confondere le acque quanto gli pare senza venire accusato di depistaggio; e a Guy Ritchie piace depistare, e farci credere di stare vedendo qualcosa quando in realtà stiamo assistendo a tutt’altro.

Come nei suoi migliori film, tentare di riassumere la storia in poche righe senza entrare nei dettagli e scadere nel didascalismo è impossibile, perché The Gentlemen gioca con almeno cinque punti di vista diversi e dai pesi più o meno equivalenti, e intreccia una quantità tale di linee narrative che per venirne a capo il modo migliore sarebbe un elenco puntato, tipo così:

  • c’è Michael, americano trapiantato in Inghilterra dove ha costruito un gigantesco e sotterraneo impero della marijuana. Vuole ritirarsi e vendere il suo business. Ha una moglie che gestisce un garage.
  • c’è Raymond, che è il suo braccio destro: è lui il protagonista della cornice insieme al giornalista Fletcher, ed è anche al centro di tutti gli snodi narrativi più importanti del film
  • c’è Matthew, un altro americano che vuole comprare l’impero di Michael
  • c’è George, il capo della mafia cinese locale, e c’è Dry Eye, il suo scalpitante secondo; anche Dry Eye vorrebbe mettere le mani sull’impero della droga di Michael
  • c’è Coach, un allenatore di boxe irlandese che gestisce una palestra dove si allena un gruppo di rapper locali che occasionalmente fanno i criminali; saranno loro a mettere le mani su una grossa partita di marijuana di proprietà di Michael, dando il via alle danze
  • c’è Big Dave, il caporedattore del giornale dove lavora Fletcher, che possiede materiale scottante su Michael, Matthew e Dry Eye
  • ci sono dei nobili, una delle quali è la figlia di Sting (non nel film, nella vita)
Draghi

C’è anche altro ma ci fermiamo qui perché il concetto dovrebbe essere chiaro: The Gentlemen è una grossa scacchiera, e Guy Ritchie si diverte a farci vedere la partita in ordine non cronologico, e ogni tanto modificando anche il video e cambiando alcune mosse. “Come i suoi primi film!” direte, con la differenza che qui Ritchie si prende tutto il tempo che gli serve per farci conoscere i suoi personaggi e caratterizzarli, anche con pochi semplici tocchi quando serve, ma dandogli sempre una personalità, una tridimensionalità che aiuta a tenersi aggrappati al filo (il)logico del racconto, e che va oltre il cast principale estendendosi anche a quelle figure di contorno che spesso servono solo come meccanismi narrativi (un saluto speciale va a Bunny).

La calma glaciale con cui Ritchie affronta una storia così complessa si riflette su tutti gli aspetti del film: il montaggio frenetico ed epilettico della sua gioventù lascia il posto a inquadrature fisse, lenti carrelli e altre delizie estetiche che però non necessariamente ci si aspetta di vedere in un suo film. The Gentlemen è un film estremamente sicuro dei propri mezzi, e che sa che è impossibile staccargli gli occhi di dosso (anche grazie a un cast uniformemente in stato di grazia); e quindi se la gode e si fa ammirare, si ferma spesso a pavoneggiarsi, e lo fa perché se lo può permettere, perché Guy Ritchie ha un’idea di cinema che funziona quando si muove a mille all’ora ed è alimentata a cocaina ma anche, abbiamo scoperto, quando si muove a passo di lumaca inalando i fumi della ganja.

The Gentlemen Hunnam

Tutto lo stile del mondo non può del tutto salvare The Gentlemen da una certa prevedibilità di fondo, perché dopo tanti anni e tanti film abbiamo ormai imparato le regole e i trucchetti di Guy Ritchie: per dirla più semplice, se avete visto i suoi primi film probabilmente beccherete almeno la metà dei colpi di scena di The Gentlemen senza neanche doverci pensare. E quindi potrebbe anche un po’ infastidirvi l’aria compiaciuta con cui il film gioca con sé stesso e con le nostre aspettative. Ma Guy Ritchie non ha mai fatto mistero di essere un regista sfacciato e che si diverte e conversare direttamente con il suo pubblico tramite i suoi personaggi: se accettate questo, la sua versione che troverete in The Gentlemen è come il proverbiale vino che invecchiando diventa più buono.

Le serie imperdibili

Classifiche consigliate