Il terzo film fa più paura. In due modi: allo spettatore. La stragrande maggioranza delle trilogie si conclude con il capitolo più oscuro, drammatico, disperato. A chi li deve realizzare: perché è il punto dove è più facile fallire. Star Wars (esclusi i prequel), Il Padrino, il Batman di Nolan e molti altri hanno avuto nell’atto finale il loro punto più debole. Ci sono eccezioni, ovviamente, ma sono minoritarie. Il tempo dirà se Guardiani della Galassia: Volume 3 è una di queste oppure no. A caldo, ci si può sbilanciare e dire che il pericolo è scampato, ma vedremo come invecchierà.

Il lavoro di James Gunn e dei Marvel Studios, che hanno concluso qui la loro trilogia più coerente, ragiona su quello che deve essere il ruolo di un terzo capitolo. Più che concentrarsi sulla difficoltà di creare una conclusione degna, la scrittura si è appoggiata su alcuni elementi di forza dati dai precedenti film. Prendendo da loro la carica e potenziandoli a loro volta. Al centro c’è sempre il più importante di tutti: i personaggi.

Arrivati in cima ci si ferma e si guarda il percorso fatto

La storia di Guardiani della Galassia: Volume 3, ridotta all’osso, si svolge su due piani. Una quest lineare: salvare Rocket e qualche mondo spostandosi da punto A al B fino al C. Poi c’è un prequel a sé: il flashback sulle sue origini. Il film aggiunge ai canonici tre atti un quarto per chiudere le trame del volume 3 film, insieme a quelle del primo e del secondo. La struttura è fatta: estremamente semplice, sulla carta poco innovativa. Come sorprendere allora?

Ad ogni seguito ci si aspetta qualcosa di più. Fu il problema di Spider-Man 3, che si trovò a costruire più dramma, azione e nemici per dare qualcosa di nuovo da vedere, perdendo però il focus sull’arco del suo protagonista. Gunn qui fa l’opposto. Invece che “spiegare” tutti i Guardiani si concentra su uno solo (è venuto in aiuto anche lo speciale di Natale per sciogliere preventivamente alcuni nodi).

Grazie a Rocket Guardiani della Galassia: Volume 3 può finire la saga e contemporaneamente farci vedere il suo inizio. 

guardiani della galassia 3

Non siamo mai stati così indietro nel tempo, per quanto riguarda il gruppo, grazie ai ricordi di Rocket Raccoon. Inserita nel film quasi come una storia a parte (che grande mediometraggio che sarebbe stato), la sua origine interagisce sempre di più con il presente narrativo, influenzandolo e spiegandolo. Alla fine si ritrova indissolubilmente incastonata nella trama principale. Il futuro spiega il passato. È un suggerimento lanciato dal regista su come leggere queste ultime ore: guardando indietro.

Prendiamo un esempio di terzo capitolo riuscito. Il signore degli anelli: il ritorno del re è un immenso terzo film perché, certo, chiude alla grande la storia, ma soprattutto perché è coerente con il crescendo dei due film. Si appoggia tanto su quanto fatto in precedenza. Gode della loro spinta, come è giusto che sia (se no perché girare due film prima?), e la usa per andare ancora più lontano. L’emozione che arriva nel tre, parte dall’uno e viene preparata dal due. 

Allo stesso modo questo Guardiani della Galassia si affida molto ai traguardi raggiunti nella costruzione dei personaggi. Quando arriva il logo Marvel, siamo già ben disposti nei confronti della banda spaziale, quindi il film può partire in quarta. Non gli serve essere perfetto, gli basta mantenere il cuore.

James Gunn è un papà che preferisce alcuni figli 

Gunn ha iniziato con Peter Quill, ha finito con Rocket. Il suo Guardiano preferito, quello che più lo rappresenta. Questo film cerca di perfezionare quanto fatto su di lui. Di aumentare lo spessore delle sue inquadrature negli altri volumi. La scena in cui Quill osserva per un attimo le cicatrici che ha sulla schiena, ha tutta un’altra potenza adesso. Non tanto perché sappiamo chi gliele ha fatte, ma perché si è capito cosa ha fatto, quello sguardo, a entrambi i personaggi. Sono diventati migliori amici, compagni disposti a sacrificarsi l’uno per l’altro.

Peter ha tantissime ferite interiori che non si manifestano sul corpo. La carne di Rocket invece racconta tanto di lui. Scopriamo però che la sofferenza fisica l’ha plasmato molto meno di quella emotiva, tenuta nascosta fino ad ora. Anche lui ha una perdita grave.

Immaginiamo che sia stato Groot il primo amico ad averlo aiutato. Però questa è una storia che o racconterà qualcun altro o non conosceremo mai. Perché nemmeno i prequel devono raccontare proprio tutto.

Gunn si era immaginato il passato di Rocket già nel 2014. Nel 2023 ci ha dato gli strumenti per giustificare le bizzarrie, gli attacchi di rabbia, la vergogna e la diffidenza. Ha aggiunto uno strato psicologico ex post. Questa è una mossa rischiosissima, che la maggior parte delle volte finisce per svilire spiegando cose non necessarie. In questo caso funziona: quelle che prima erano battute grevi o drammi messi in scena rapidamente ora fanno un effetto un po’ diverso (quanto è ancora più potente la scena di Groot polverizzato in Infinity War sapendo cosa ha già perso Rocket!). 

Noi siamo… I Guardiani della Galassia

Un altro modo in cui il volume 3 va a potenziare i precedenti sta nelle forme ricorsive. Abbiamo già avuto un Groot che concede parole nuove, “Noi siamo Groot”, sacrificandosi alla fine del primo film. Il ripetersi di un momento analogo in quest’ultimo Guardiani della Galassia aggiunge ben poco. Se non fosse che in questo finale, c’è una sottile, eppure brillante, variazione.

Sul vocabolario di Groot, Gunn inserisce tanti valori simbolici. Gli amici lo capiscono, gli estranei percepiscono sempre la stessa parola. Alla fine lui dice “Vi voglio bene ragazzi”, ma il labiale è “io sono Groot”. Prova è che nessuno dei compagni si stupisca che abbia imparato nuove parole. Semplicemente il pubblico è diventato ormai di famiglia e comprende la sua lingua. Una variazione sull’immagine che la rinnova di significato potenziando anche l’originale. 

Funziona allo stesso modo (seppur in chiave comica) la scena di Drax che dimostra di saper cogliere le metafore. Era dal 2014 che prendeva le parole per il loro significato letterale. 

Dave Bautista Guardiani della Galassia 3

La famiglia si scioglie

L’arco di sviluppo è così: avanti nel tempo e nelle loro avventure, questi personaggi imperfetti, pieni di vuoti, cambiano. Lo fanno però ricostruendo all’indietro se stessi. Riconciliandosi con quello che è stato e scoprendo da dove vengono. Nei precedenti film il centro era soprattutto la figura paterna. Qui è l’abbandono (positivo) della famiglia. Perché è questo che si fa quando si cresce. Ci si emancipa per poi magari formarne un’altra.

Il film trova quindi il compimento con Quill che accetta che la sua Gamora non tornerà più, lasciando libera la nuova di essere ciò che è. Con la scelta di Drax, a cui sono stati uccisi moglie e figli, di diventare nuovamente padre. Mantis era sempre alle dipendenze di qualcuno (legata a Ego), ripensa se stessa come capace di camminare da sola e se ne va verso l’orizzonte. Tutti i Guardiani sono morti in qualche modo, quasi tutti simbolicamente (fanno esperienza di morte e tornano in vita) qualcuno letteralmente (Gamora). 

Guardiani della Galassia è iniziata come una saga su una sorta di stramba famiglia che si ritrova per caso nello spazio. Finisce all’opposto, con l’abbandono del gruppo che si era formato nelle precedenti avventure. Non per forza i personaggi devono morire per trovare il proprio compimento. Questi criminali, disadattati, erano un gruppo di bambini troppo cresciuti quando si sono incontrati. Nella loro ultima impresa sono maturati, si sono evoluti.

Così James Gunn nel volume 3 rispetta il periodo dell’infanzia dei primi film, concentrandosi sull’età adulta di questo finale. È arrivato il momento di abbandonare il tetto sicuro che, vediamo nella sequenza di apertura, non garantisce più la felicità. I personaggi ormai formati sentono il bisogno di andare avanti, ciascuno per la propria strada. Abbandonano la famiglia sanno però che quel legame non si scinderà mai. E vanno avanti, a scoprirne una nuova. Come Peter Quill, partito da figlio, tornato da uomo.

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