Hunter Killer – Caccia negli abissi è su Netflix

Ci sono film che, oltre al loro valore artistico, hanno anche un importantissimo ruolo sociale per non dire civile. Prendete i film di sottomarini. Il concetto può essere declinato in parecchi modi diversi: si può decidere di puntare sul lato quasi horror che è conseguenza dell’ambientazione claustrofobica (Alien in questo senso è un film di sottomarini nello spazio), si può buttarla sul ridere, si può sfruttare il fatto che i sottomarini siano un luogo di guerra per puntare sulla geopolitica. Resta il fatto che i film di sottomarini esistono principalmente per farci stare bene, per metterci di buonumore pensando che abbiamo i piedi all’asciutto mentre da qualche parte negli abissi c’è gente che rischia la vita per noi a bordo di una scatoletta di tonno a motore. Hunter Killer – Caccia negli abissi dovrebbe fare esattamente questo, ma per una sfortunata serie di coincidenze ottiene il risultato opposto.

Inutile girarci intorno: Hunter Killer – Caccia negli abissi è un film che fino a sei mesi fa (ma forse anche un mese fa) faceva un effetto completamente diverso. Diretto dal relativamente sconosciuto Donovan Marsh, quando uscì nel 2018 era esattamente il genere di thriller che ci piace guardare per sentirci al sicuro sotto l’ala protettrice dell’aquila americana e del suo amore per l’esportazione della democrazia. Era un film che ci diceva quello che Tom Clancy continua a ripeterci da anni: non c’è da preoccuparsi di nulla, per qualsiasi cosa c’è l’America, ufficialmente o ufficiosamente che sia. Uno di quei film che si comportano come se la Guerra Fredda non fosse mai davvero finita, e che procedono dritti come un fuso e prevedibili in ogni singolo colpo di scena; che si reggono sul ritmo, sulla qualità delle scene d’azione e sulle facce dei protagonisti (e delle più rare protagoniste).

 

Gerardo

 

Il problema è che Hunter Killer è, come molti altri film di sottomarini, un’opera tutta costruita sul fatto che tra Stati Uniti e Russia le cose non vanno granché bene da un po’ di tempo a questa parte, e sulla sensazione che da un momento all’altro, per motivi imprevedibili fino a quando non diventano ovvi ed evidenti, una scintilla a caso potrebbe scatenare un conflitto del quale il mondo avrebbe fatto a meno. E la conseguenza di questo problema è che vederlo oggi significa non estraniarsi e vivere una power fantasy atlantista, ma fare i conti con il fatto che quella scintilla è effettivamente scattata, e a subirne le conseguenze è per ora il popolo ucraino, e più avanti chi lo sa.

La storia è quella di un sottomarino, che in realtà sono tanti sottomarini. Uno, americano, viene affondato delle acque dell’Artico da un altro, russo. Un terzo sottomarino, russo anch’esso e con a bordo Michael Nyqvist in uno dei suoi ultimi ruoli (il film uscì postumo), giace sul fondo dell’oceano dopo essere stato colpito – da un razzo americano, sostengono i russi, ma la realtà è più complicata di così. E poi c’è il quarto sottomarino, di nuovo americano e guidato da un Gerard Butler in versione sé stesso, e sempre più vicino alla trasformazione definitiva in Mel Gibson. A lui e al suo equipaggio sta il compito di investigare sulla faccenda, e potenzialmente evitare una guerra.

 

Hunter Killer - Caccia negli abissi Nyqvist

 

Non finisce qui! Hunter Killer – Caccia negli abissi è un thriller ambizioso, che dedica, è vero, più tempo a Butler e alla sua ciurma che al resto del cast, ma che porta avanti la sua complicata vicenda anche in terra (nel porto di Polyarny, dove il presidente russo deve incontrare il suo ministro della difesa e dove una squadra speciale americana in missione non ufficiale si è paracadutata per spiare il meeting) e nei palazzi del potere americani (dove Linda Cardellini si mangia la scena nei panni di un’analista dell’NSA che nel mondo reale sarebbe stata arrestata e processata per direttissima per le sue azioni). E così scopriamo – nel corso del primo atto, lo consideriamo quindi uno SPOILER lieve e sopportabile – non solo che il sottomarino russo è stato sabotato dall’interno, ma soprattutto che l’ammiraglio Durov ha organizzato un colpo di Stato per prendere il potere al presidente russo Zakarin, e rimettere la grande Russia in carreggiata, scatenando una guerra che la porterà all’allargamento della sua zona d’influenza. Zakarin, è importante specificarlo, viene deposto perché considerato troppo debole, poco decisionista e per nulla nazionalista.

È difficile quindi seguire la vicenda fittizia di questa guerra tra sottomarini che rischia di fare da antipasto a un conflitto mondiale e non distrarsi, pensando al fatto che qualche giorno fa un leader russo molto forte, molto decisionista e molto nazionalista ha dato il via a qualcosa di molto peggiore. Bisogna impegnarsi per non distrarsi e cominciare a fare ragionamenti sciocchi e anche un po’ pericolosi tipo “ma c’era davvero bisogno di un film del genere vista la situazione che era già prevedibile nel 2018 et cetera” (certo che ce n’era bisogno, è finzione, non cronaca e quindi ce n’è sempre bisogno).

Ci si ritrova a sperare che anche la situazione attuale si possa risolvere con altrettanta facilità, e con lo stesso metodo: affidandosi alla mascella onnipotente di Gerard Butler.

 

Sottomaboom

 

C’è da dire che è difficile non distrarsi anche perché, a fronte di un primo atto che non sfigura a fianco degli altri grandi del genere “film di sottomarini”, Hunter Killer – Caccia negli abissi tende a perdersi con il passare dei minuti, a lavorare fin troppo per accumulo e disperdere quindi tutta l’energia canalizzata fin lì nei corridoi strettissimi del sottomarino Arkansas. Vista la storia che vuole raccontare, due ore di durata sono decisamente troppe per questo film, che avrebbe beneficiato di un paio di sforbiciate nel secondo atto – che d’altra parte è tradizionalmente la palude nella quale i film mediocri vanno a morire, e almeno in questo senso Hunter Killer se la cava meglio della media.

Volete un ultimo spunto di riflessione? Nel 2018 il film non uscì né in Ucraina né in Russia. Nel primo caso perché, disse il ministero della cultura ucraino, conteneva rappresentazioni positive del presidente russo. Nel secondo perché la copia giunta al ministero della cultura a scopo di valutazione era, a quanto pare, “rovinata”, e dunque impossibile da giudicare; che è con ogni probabilità linguaggio in codice per dire “non ci è piaciuto come parlate della Russia e dei suoi generali”. Cosa significa questo fatto? Non lo sappiamo, ma se avete suggerimenti non esitate a farcelo sapere nei commenti.

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