Siete pronti per un’avventura? È questo un’invito che il cinema fa sempre di meno ma che ha fatto la sua fortuna. Oggi nei film più spettacolari c’è azione, ci sono pericoli globali, guerre per oggetti con poteri magici fatte da gente con poteri. L’avventura, intesa come esplorazione dell’ignoto, appare sempre meno. Fortunatamente c’è la saga di Indiana Jones che, grazie ai talenti congiunti di Spielberg e Lucas, ha influenzato l’immaginario di una generazione di spettatori. Il Dottor Jones è, anche in questi anni, un rifugio a cui chi lo desidera può tornare per rivivere un po’ della sua peculiare energia.

La saga è ora arrivata al quinto capitolo con Indiana Jones e il quadrante del destino. Siccome a molti verrà voglia in questi giorni, prima o dopo la visione al cinema, di (ri)scoprire le gesta dell’archeologo, vi proponiamo la nostra classifica dei film dal peggiore al migliore.  

È ancora troppo presto per inserire Il quadrante del destino nella classifica. Serve infatti una minima prova del tempo (almeno qualche settimana) prima di chiarirsi le idee e decidere dove collocarlo. A noi, se siete curiosi, è però piaciuto molto

Sebbene sembri semplice da stilare, dato che i film si contano su una mano, è molto complicato decidere a chi vada la prima posizione. Almeno due dei quattro film sono infatti perfettamente equilibrati, esempi di maestria nella scrittura della tensione e nella regia da studiare nelle scuole di cinema.

Partiamo quindi dalla posizione più semplice da decidere. Il peggiore:

Indiana Jones e il quadrante del destino

indiana jones e il quadrante del destino recensione

Il primo (l’ultimo?) Indiana Jones senza Steven Spielberg alla regia poteva essere la mossa giusta per rinfrescare il franchise. Invece James Mangold fa un’imitazione di quello che erano i film senza però avere lo stesso equilibrio narrativo. È molto prudente per tutta una prima parte e nel terzo atto sceglie di osare in maniera piuttosto repentina. Si prende un rischio grosso andando dove non era assolutamente necessario andare. Per rinnovare la saga non serviva l’ennesimo salto dello squalo, bensì un lavoro più preciso sul tono del racconto nel tentativo di modernizzarlo. La deriva cartoonesca iniziata col quarto film è accentuata da effetti visivi non all’altezza e da un nemico assai improbabile (quando viene messo fuori gioco la prima volta non c’è modo per cui possa sopravvivere al violento impatto che subisce). 

Questo Indiana Jones vecchio e depresso non riesce mai a ritrovare il gusto di lanciarsi alla scoperta dell’ignoto. La visione è così nostalgica da diventare malinconica. Doveva entusiasmare, mette invece tristezza.

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

Indiana Jones 4 alieni sceneggiatura

I prologhi di Indiana Jones sono leggendari. Quello del quarto film serve a non dare per scontato che escano sempre bene. C’è da dire che anche questo è diventato iconico e chiacchierato, ma per il motivo opposto a quello desiderato. La caratteristica principale di queste storie è quella di mantenersi in bilico tra la fantasia improbabile e una sottile plausibilità. In altre parole: se esistesse veramente una reliquia con poteri magici potremmo credere a quello che succede. Il regno del teschio di cristallo fa molti salti dello squalo. Uno di questi è a bordo di un frigorifero per sopravvivere ad un’esplosione atomica. 

Gli effetti speciali digitali non rendono giustizia al film e lo fanno invecchiare drammaticamente rispetto agli altri, ben più antichi, della saga. Come se proprio Spielberg si fosse dimenticato l’importanza degli effetti pratici, dell’artigianalità per creare l’universo di questi film. 

L’effetto è quello di un Indiana Jones che cerca di imitare gli Indiana Jones. Non è così terribile come si ama dire, è pur sempre un blockbuster leggero che si lascia guardare. Digerita la trama degli alieni, la spiritata Cate Blanchett e Shia LaBeouf, ce lo si può godere. Il problema principale è però la tristezza che lascia. Il tempo passa per tutti e anche certi film restano vittime della loro grandezza passata. Spielberg, insieme a Peter Jackson, si rifarà anni dopo dimostrando di saper ancora dirigere l’avventura con Tintin – Il segreto dell’Unicorno.

Indiana Jones e il tempio maledetto

Indiana Jones e il tempio maledetto

Il secondo film della saga ha un prologo clamoroso. Azzeccatissima la citazione allo 007 di Goldfinger nell’abito indossato da Indy, subito dopo il dovuto omaggio al gong dei titoli di testa di Gunga Din. I primi minuti sono un esercizio di stile della suspense. Nel Club Obi Wan (!) si svolge prima una contrattazione, poi una lotta contro le persone e infine contro il tempo per recuperare l’antidoto a un veleno in circolo. È devastante, quando il film vero inizia si è sfiniti dalla tensione e dall’incredibile quantità di battute. 

Il resto di Indiana Jones e il tempio maledetto è così violento e disperato da far impallidire i rating odierni. Spielberg invitò l’MPAA a modificare i suoi criteri di giudizio giusto in tempo prima dell’uscita del film. Che fascino il Dio Shiva e tutto ciò che gira intorno al suo culto. Le scenografie sono magnifiche, ma sembrano talvolta un parco a tema (il gran finale sui binari della miniera). Molto più rilevante in questo caso la gestione delle comparse. La folla di persone, gli adepti al culto, riempiono ogni fotogramma di dettagli.

La storia si perde in un lunghissimo terzo atto che inchioda lo sviluppo dei personaggi. Si vede tanto la voglia di giocare con il cinema di Spielberg, ma il risultato è più autoreferenziale rispetto al primo e al terzo film. Divertenti le smancerie amorose tra Ford e Capshaw, ma quello che entra nel cuore è Short Round di un troppo sottovalutato Ke Huy Quan che si è preso da poco la giusta rivincita. 

Indiana Jones e il tempio maledetto è un film piacevole da vedere, ma se lo si vedesse per primo non racconterebbe appieno le massime potenzialità di questa serie.

Indiana Jones e l’ultima crociata

Indiana Jones e l'ultima crociata

Piange veramente il cuore (non quello strappato in nome del Dio Shiva) a scegliere tra “i predatori” e “l’ultima crociata”. Tra mamma e papà scegliamo il secondo posto per papà. Ovvero questo splendido film in cui il nostro amato esploratore torna indietro alle sue origini e ritrova, appunto, suo padre. C’è veramente poco da criticare in un terzo capitolo pieno di cuore e di divertimento. Dialoghi cotti al punto giusto e uno Sean Connery che appare con una costruzione scenica degna del Sacro Graal. Viene svelato lentamente, ci fa fremere per vederlo.

È lui, in fondo, la grande scoperta del giovane (ma non più troppo giovane) archeologo. Lasciare andare la vita eterna per potersi assicurare una vita piena oggi, nel momento presente. Se questo non smuove un’emozione probabilmente siete vittima di un maleficio. Ah, se non bastasse c’è pure un uso brillante di Venezia e di tutte le scenografie. Il terzo atto si regge sulle trappole e sugli spazi angusti. Il nemico è il luogo. Difficilissimo da fare, bellissimo da vedere. River Phoenix come Indiana Jones da ragazzo? L’ennesimo groppo in gola. 

Quindi che problema c’è con Indiana Jones e l’ultima crociata? Niente, se non il fatto di arrivare per terzo. Perfeziona tutto ma fatica ad essere veramente nuovo. È la differenza che passa tra un gran film e un gran film che ti sembra di non aver mai visto prima di allora.

I predatori dell’arca perduta

Indiana Jones Harrison Ford i migliori film

L’entry level di Indiana Jones è anche il film più facile da amare e da difendere. Oggi però lo diamo un po’ per scontato. Come se questo mix di suggestioni dal cinema d’avventura del passato ci fosse sempre stato. Mettiamola così: immaginatevi il mondo prima della prima proiezione di I predatori dell’arca perduta. Nessuno fischiettava il motivetto di John Williams. Nessuno desiderava un cappello come il suo. Gli idoli d’oro erano roba noiosa da museo e i nazisti ancora attendevano una fine così la catartica e cruenta sul grande schermo.

La sceneggiatura di Lawrence Kasdan presenta il personaggio in azione. Le sue gesta ci dicono tutto ciò che c’è da sapere. E poi c’è Marion, donna che non riesce a stare nei cliché che le vengono proposti. Sconfina, se la batte con Indy per il dominio dell’attenzione e diventa così segretamente preziosa facilitatrice dell’amore verso il protagonista della saga.

Per quanto un film possa invecchiare, il primo Indiana Jones resta ancora un regalo per la fantasia di chiunque. Soprattutto però andrebbe proposto ai più piccoli per nutrire le loro avventure personali. Per farli sentire in grado di affrontare ogni sfida, per insegnare che una vivacità curiosa è un’arma che risolve (quasi) tutti i problemi. E soprattutto, come scrivevamo, questo primo film è una grande lettera d’amore all’importanza e alla dignità della sconfitta.

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