Affrontiamo questo tema muovendoci coi piedi di piombo: la “sacra” trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson è giustamente considerata un capolavoro, che indubbiamente ha ridefinito gli standard dei film fantastici e non solo. Sarà quindi opportuno premettere che non ci inoltriamo in questa carrellata con l’intento di voler demolire i tre pilastri della versione cinematografica dell’opera tolkieniana.

Per amor di onestà, tuttavia, è giusto ammettere che le differenze tra opera letteraria e opera filmica sono moltissime. Alcune sono dovute semplicemente alla diversa natura narrativa del medium; altre a volte finiscono semplicemente per rendere più scorrevoli e sintetizzare eventi o concetti che un’opera letteraria può permettersi di approfondire in dettaglio ma che i tempi cinematografici non consentono. Altri ancora, infine (eresia?) offrono perfino soluzioni migliori, o quanto meno altrettanto interessanti delle loro controparti letterarie. Impegnarsi in una lista omnicomprensiva sarebbe un’impresa titanica, e tutto sommato anche abbastanza gratuita. Lettori e spettatori appassionati le conoscono già bene e ognuno ha la sua opinione al riguardo.

Poi però ci sono anche loro: una manciata di punti critici che col senno di poi non sono invecchiati benissimo, o che non hanno centrato l’obiettivo che si erano prefissati, o che finiscono per togliere più di quanto offrono. Abbiamo deciso di concentrarci su questi. In un tempo dove il tradimento del testo originale viene spesso invocato per contestare adattamenti e opere derivate, proviamo a ricordare le deviazioni più discusse, o se non altro meno riuscite della prima, epica incursione nella Terra di Mezzo. Pronti? Mettiamoci in marcia, la strada si snoda senza fine…

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Da Edoras al Fosso di Helm: l’Attacco dei Mannari

La guerra tra Rohan e Isengard è soggetta a diversi cambiamenti, sia in termini di location che di partecipanti che di posta in gioco. Il cambiamento più grosso riguarda il trasferimento di tutta la popolazione civile al Fosso di Helm: assistiamo all’esodo di tutta la popolazione di Rohan, che nel corso del viaggio viene assalita dai warg capitanati dall’uruk Sharku. Ha inizio una battaglia on the road tra le forze dei cavalieri e i cavalcatori di lupi, che si conclude con l’apparente scomparsa di Aragorn precipitato da un crepaccio (la fissa di Jackson per baratri, precipizi e cadute si intensificherà esponenzialmente di film in film). La scena in sé non ha niente di particolarmente rimproverabile ed è anzi una buona scena d’azione, solo che… non dovrebbe esistere. Spesso sentiamo dire che certi sacrifici e tagli al materiale originale dei libri erano necessari a causa dei tempi. Saremmo tentati di crederci, se non fosse che poi una discreta fetta di tempo (almeno una ventina di minuti) viene dedicata a un passaggio inventato di sana pianta. Tanto più che al di là del suddetto momento d’azione, è una sequenza che non offre particolari contributi narrativi o di approfondimento dei personaggi. Col senno di poi, ritrovarci nella versione cinematografica base l’attacco dei mannari ma rinunciare al faccia a faccia finale con Saruman ai piedi di Orthanc è una scelta che reclama vendetta, e la stizza di Christopher Lee per l’esclusione della chiusura del suo personaggio a suo tempo è più che comprensibile.

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Gli Ent Distratti

Non ci azzarderemo a toccare la perfezione: l’ultima marcia degli Ent, nel momento in cui i guardiani degli alberi emergono dalla foresta e iniziano ad avanzare a passo lento verso il cerchio di Isengard, è uno dei momenti più belli e toccanti dell’intera saga, complice anche l’ispiratissimo commento musicale di Howard Shore. Da lì in poi, la furia della foresta contro le fiamme dell’industria è uno spettacolo esaltante e liberatorio. Come si arrivi a quel punto, tuttavia, è meno convincente. Nel romanzo originale, gli Ent sono consapevoli già da tempo delle malefatte di Saruman ai danni della foresta e l’Entaconsulta decide autonomamente di scendere in guerra contro lo stregone, spinta all’azione dalle ultime notizie del mondo esterno portate da Gandalf. Nel film, gli Ent decidono inizialmente di astenersi, per poi ricredersi quando Pipino Tuc, con uno stratagemma, conduce Barbalbero alla distesa degli alberi abbattuti. Il tutto, probabilmente, per dare ai due Hobbit un ruolo più attivo rispetto a quello di semplici spettatori degli eventi, ma questo scenario dipinge una situazione da cui gli Ent, i ‘pastori degli alberi’, non escono benissimo. Come direbbe un popolare meme, “you had ONE job…” Sono creature che esistono letteralmente per vegliare e coltivare gli alberi della foresta, ma non si sono accorti che mezza foresta veniva abbattuta, pur sapendo che “c’è sempre del fumo che si alza da Isengard”… quindi cosa ci stanno a fare? Gli Ent saggi e consapevoli della versione originale ci convincono di più. Ma una volta che quella marcia ha inizio, tutto è perdonato…

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Faramir e la Deviazione a Osgiliath

La famiglia di Gondor, ad eccezione del felice caso di Boromir, non deve stare troppo simpatica a Peter Jackson. Il figlio minore del sovrintendente di Minas Tirith è una delle figure più discusse nella sua resa cinematografica. Là dove il Faramir librario è una figura serena e controllata, che si pone immediatamente in termini amichevoli con gli hobbit e resiste facilmente alla tentazione dell’Anello, quello cinematografico, forse nel tentativo di sottolineare i parallelismi con il fratello e di alzare la posta in gioco a livello drammatico, si rivela inizialmente più suscettibile al richiamo dell’Anello e organizza il trasferimento degli hobbit verso le rovine di Osgiliath per consegnarli a suo padre assieme all’arma del Nemico. Anche in questo caso, oltre a divorare minutaggio prezioso per una serie di scene che non esistono, si travisa uno dei personaggi più cari all’autore nella sua essenza, al punto di renderlo perfino odioso in alcuni momenti particolarmente critici. Sempre sul fronte della drammaticità a livello gratuito, pollice verso per la scena finale in cui Frodo si presenta davanti al Nazgul di Osgiliath porgendogli l’Anello. Siamo tentati di credere che un Nazgul che si ritrovi l’Anello letteralmente a portata di mano non desisterebbe soltanto per un paio di frecce sparate nella sua direzione. Speriamo che Sauron lo abbia licenziato.

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Denethor

Se al figlio le cose non vanno troppo bene, al padre vanno anche peggio. Il sovrintendente di Gondor è probabilmente la figura più travisata in assoluto rispetto alla sua controparte letteraria. Il Denethor originale è una figura sì severa, ma nobile e stoica, capace e ferrea, seppur logorata, nella lotta alle forze di Mordor. Il dramma della caduta di Denethor, come nelle tragedie greche o Shakespeariane, sta proprio nell’altezza da cui cade e sarebbe essenziale per il lettore/spettatore imparare ad apprezzarlo prima di vederlo volgere al peggio. Soffre, tra le altre cose, della rimozione dell’elemento del Palantir in suo possesso, che quanto meno avrebbe spiegato meglio il suo progressivo cedere alla disperazione, quando il Denethor cinematografico è invece un jerk di natura. Perché purtroppo la sua figura non va oltre il villain da operetta odioso sotto ogni aspetto: incurante del regno, dei sudditi e gratuitamente esasperato nel pur conflittuale rapporto col figlio superstite. Dato il look perfetto del personaggio e la comprovata bravura dell’attore che lo interpreta, John Noble, c’è rammarico per quello che si poteva ottenere con un minimo di sofisticazione in più. Menzione di ‘disonore’ speciale alla triste scena in cui Gandalf lo piglia letteralmente a bastonate in faccia davanti a guardie e corte riunita, e per la ‘maratona finale’ che gli fa attraversare la città in fiamme pur di fargli fare il gratuito salto dal promontorio. Tutte trovate alquanto cheap per un personaggio che non lo sarebbe affatto.

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Frodo e Sam a Cirith Ungol

Drastico ed eccessivo cambiamento di rotta per le vicende che coinvolgono Frodo, Sam e Gollum sulle scale di Cirith Ungol. La pellicola ci mostra Gollum attuare un piccolo complotto volto a mettere i due hobbit l’uno contro l’altro gettando via il pan di via degli elfi, cosa che spinge Frodo a cacciare via Sam per proseguire in compagnia del solo Gollum, in procinto di tradirlo e consegnarlo a Shelob. Qui la pecca sta non tanto in quello che vediamo, quanto in quello di cui ci priva, perché la vicenda originale è molto più toccante, forse una delle più commoventi di tutta la saga. Gollum che veglia su Frodo addormentato è genuinamente sul punto di pentirsi e di riscattarsi, ed è Sam che lo sorprende ad accarezzare il padrone ad accusarlo a rovinare la sua ultima possibilità di pentimento. I personaggi originali ne escono più complessi e sfaccettati: Gollum ha un lato buono che lotta fino all’ultimo per emergere e Sam, nella sua ottusità, si macchia della colpa di avere compromesso la sua ultima possibilità di redenzione. Quelli che vediamo nel film sono appiattiti e semplificati: Gollum è cattivo in tutto e per tutto, e Sam ha sempre ragione e non sbaglia ad accusarlo. Banale.

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La fine dell’Anello

Tensione alzata e una manciata di variazioni anche per il compimento della quest principale alla Voragine del Fato, dove Frodo e Gollum sono avvinti in un’ultima colluttazione per il possesso dell’Unico. Sappiamo che nel testo originale, Gollum fa tutto da solo: recide il dito a Frodo con un morso, e nell’esultanza per avere recuperato il suo Tesssoro, precipita nel baratro infuocato. In verità la variante di farlo lottare un’ultima volta con Frodo, a sua volta piegato dall’ossessione di possedere l’Anello, è comprensibile e non cambia troppo le carte in tavola: è un’aggiunta che mira a intensificare il pathos, ma è di quelle che hanno un senso. Meno sensata e molto più sfacciata è invece la presunta “allegoria” dell’Anello che rimane integro sulla lava in attesa di scoprire cosa deciderà di fare Frodo appeso al baratro. Forse una scelta dettata dal desiderio di voler conferire a Frodo una decisione più attiva riguardo al destino dell’Anello, ma una scelta maldestra, che peraltro va a ledere uno dei temi più belli e portanti dell’opera originale: a distruggere l’Anello sono stati gli atti di pietà precedenti che hanno mantenuto in vita Gollum anche contro il buon senso, e non la decisione in extremis di non lasciarsi andare nel baratro di Monte Fato. Anche perché verrebbe da chiedersi cosa sarebbe successo se Frodo avesse deciso di mollare. “Spiacente, ragazzi, il mio ultimo portatore ha optato per il suicidio, quindi ora me ne starò qui integro a galleggiare sulla lava finché qualcuno non verrà a raccogliermi”?

Coi meccanismi essenziali della storia è decisamente meglio non pasticciare.

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