Prima dell’arrivo di James Caan c’è stata nel cinema americano un’era di eroi duri, una in cui il modello maschile di riferimento era l’uomo tutto d’un pezzo, di poche parole e dai modi spicci (ma poi la grandezza e la complessità di Hollywood faceva sì che questo tipo di eroi avessero anche i loro film sentimentali, i noir). Quell’era è andata più o meno dagli anni ‘40 agli anni ‘70, quando ad incarnarli erano rimasti solo quelli che così avevano iniziato (John Wayne, Lee Marvin, Charles Bronson…) e i nuovi attori che emergevano erano tutto un altro fenotipo umano. Potevano anche girare con la pistola e sparare ai cattivi ma avevano tormenti interiori che rendevano molto più evidenti, erano uomini sensibili in un mondo che non capivano più (Robert Redford, Robert De Niro, Al Pacino, Dustin Hoffman…) e non uomini tutti d’un pezzo in un mondo marcio di cui conoscono le regole.

James Caan, morto mercoledì 6 luglio a 82 anni, è stato l’ultimo degli attori duri.

Aveva iniziato a fare cinema negli anni ‘60 arrivando alla fine di quel decennio ad essere un nome da cartellone. Era emerso con i western e ne aveva girato addirittura uno, El Dorado con il maestro di quel tipo di eroi, Howard Hawks (con cui aveva già girato un altro film, non western, Linea rossa 7000), peraltro al fianco di John Wayne e Robert Mitchum. Quelli erano i modelli della sua personalità sullo schermo, quello era il tipo di uomo che James Caan recitava. E quando negli anni ‘70 tutto è cambiato di colpo un attore giovane si è ritrovato parte di un mondo del cinema vecchio che lentamente e lentamente scompariva. Come uscire a giocare direttamente al tramonto.

james caan

Anche in Il Padrino, un film che lanciava tutta la nuova generazione e per certi versi era il manifesto di quello che sarebbe diventata Hollywood di lì in poi (autori giovani all’Europea, attori frenetici dalle interpretazioni sofferte in film critici, audaci e antieroici), Caan era la parte più tradizionale. Figlio di Don Vito Corleone sì, quindi anche lui parte della nuova generazione, ma il più “vecchio stampo” di tutti. Se John Cazale era lo scemo e fragile, Al Pacino quello sveglio e dall’interiorità complessa, Sonny invece era un classico bullo, il figlio dell’uomo potente che usa il suo potere, possiede donne, sfascia fotocamere e malmena il marito violento della sorella. 

james caan wall

E in questo Caan era fenomenale, non era solo l’ultimo di quella specie di attori, ma anche uno dei più bravi, capace di trovare anche nel cinema dei suoi anni e poi più avanti anche negli anni ‘80 degli eroi muscolari ed esagerati o nei 90 del metacinema, una strada per continuare a fare quel che sapeva fare meglio, recitare con poche parole o ancora meglio: imporre una presenza. Alcune delle sue parti migliori, alcuni dei suoi ruoli più memorabili sono ruoli di intensità e non di battute. Se si eccettuano alcune variazioni, più che altro posizionate all’inizio della sua carriera che non dimostrano altro se non che le capacità per recitare in altri modi le aveva (si pensi al film indie di Coppola Non torno a casa stasera), James Caan sceglieva sempre vie silenziose.

james caan rollerball

Dal giocatore inarrestabile di 40.000 dollari per non morire (che piani d’ascolto e d’attesa!), ad un altro giocatore, di Rollerball, in un futuro distopico che scopre il complotto del mondo in cui vive senza dire quasi una parola e conduce una ribellione con tenacia e azioni, non con discorsi, fino a Killer Elite con Sam Peckinpah (regista con il quale sembra nato per collaborare) e addirittura alle romanticherie di Funny Lady con Barbra Streisand, nel quale è la controparte granitica della protagonista, gli anni ‘70 sono il suo momento di grande fama nei quali tuttavia, dopo Il padrino, non sarà mai sulla frontiera del cinema che cambia ma sempre nelle retrovie del cinema di una volta.

james caan thief

Non stupisce quindi che forse una delle interpretazioni più grandi della sua carriera sia Strade violente, al servizio di Micheal Mann (altro regista che pare perfetto per lui), silente e intenso. Due parole che riassumono un’intera carriera. Può centrare perfettamente una scena di dialogo in un diner, tutta senza stacchi, e poi trionfare nelle cavalcate silenziose di Mann. Nella lunga sequenza del furto, tutta girata con rumori di scena, c’è davvero da studiare la maniera in cui un attore, recitando solo con il corpo e recitando qualcosa di anonimo come il “lavoro”, riesca ad unirsi alla fotografia, al montaggio, al sonoro e alla scenografia per creare una sinfonia che parla di tenacia, forza e determinazione. La presenza, cioè la capacità di interessare e catturare lo spettatore anche senza fare nulla, solo per come ci si relaziona all’obiettivo, per ciò che sì promette o minaccia implicitamente con la propria immagine, era tutto in James Caan.

Personalmente era un’altra questione. Era un uomo affamato di vita, uno con 4 mogli e 5 figli (scherzando diceva al proposito che evidentemente non conosce la differenza tra sesso e amore), uno che per superare un divorzio andò a vivere nella Playboy Mansion, protagonista di mille storie e aneddoti che rinunciò per un periodo a recitare per allenare una squadra di baseball di bambini. Si potrebbe andare avanti ore e ogni suo profile è una miniera d’oro. Il punto era che era aperto a tutto, faceva se stesso in L’ultima follia di Mel Brooks, un mafioso esagerato in Dick Tracy, partecipava volentieri a film di esordienti (lo sì trova sia in qualcosa di ironico come Un colpo da dilettanti di Wes Anderson che in qualcosa di più serio come Le vie della violenza di Christopher McQuarrie). Aveva anche recitato per Lars Von Trier in Dogville (ovviamente come mafioso) e non aveva smesso di fare film fino alla fine.

james caan misery

Tutto nonostante abbia avuto i suoi problemi, un quasi ritiro dalle scene e il ritorno in un altro ruolo strano e complicato, specie per qualcuno con la carriera che aveva James Caan, quello di Misery non deve morire. L’uomo duro degli anni ‘70, maschio per antonomasia, reso impotente da un incidente che viene imprigionato e torturato da una donna non bella, anzi! Caan subisce per quasi tutto il tempo (prima ovviamente di contrattaccare) e ancora una volta dà il suo meglio recitando l’ascolto, l’attesa e qualcosa che avviene dentro di lui (nel caso specifico pensieri e macchinazioni) mentre non dice niente. È passato almeno un decennio dall’ultimo grande successo ma è ancora lì, efficace e colpisce come pochi altri avrebbero saputo fare.

Chi altri del resto a quasi 60 anni può interpretare un Philip Marlowe (c’è qualcosa di più vecchio e fuori dal tempo che interpretare Marlowe nel 1998?) in un film per la tv di Bob Rafelson e lo stesso stamparsi senza dubbi nella classifica dei migliori Marlowe dello schermo?

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