Killers of the Flower Moon è su Amazon Prime Video

Su Killers of the Flower Moon se ne sono dette tante, e giustamente, visto che stiamo parlando della nuova gigantesca epica di uno dei più importanti registi viventi. E infatti non siamo qui a proporne una rivalutazione critica, o a proporre analisi e controanalisi di quello che è francamente molto difficile non riconoscere come un gran film – con difetti, problemi, considerazioni, ma che ricade fermamente nella categoria dell’“avercene”. Quello che vogliamo fare è invece una riflessione forse un po’ collaterale e che può sembrare una frivolezza semantica, ma che invece secondo noi dice qualcosa sullo spirito del film che rischia di essere sfuggito, nascosto com’è sotto la patina di un genere al quale non appartiene davvero.

Killers of the Flower Moon è un western?

Killers of the Flower Moon è il nuovo western di Martin Scorsese…”: quante volte negli ultimi mesi avete letto un articolo che si apriva con queste parole? In fondo l’identificazione è facile: è un film che si svolge nell’Oklahoma, uno dei territori a ovest del Mississippi che venne acquisito dagli Stati Uniti nel 1803 con la cosiddetta Louisiana Purchase, e parla del rapporto tra nativi e coloni in un contesto nel quale la legge è, se va bene, locale, e se va male completamente assente. Inoltre, la definizione “western” negli anni si è allargata sempre di più, ed è diventata un approccio alla narrazione e un modo di raccontare il rapporto tra l’uomo e quello che lo circonda, indipendentemente dal fatto che la sua storia si svolga in mezzo al deserto del Nevada in un affollato centro urbano.

Killers of the Flower Moon Moon

Ecco: è proprio quest’ultima considerazione, il fatto cioè che il western non sia più solo un genere geografico ma una questione di Weltanschauung, quasi spirituale, a far sì che Killers of the Flower Moon non sia un western, ma un drammone a sfondo criminale che ha più punti in comune con Gangs of New York che con, boh, Per un pugno di dollari. Mancano, nel film, o sono secondari e collaterali, una serie di elementi che definiscono il genere, e manca anche il substrato politico e sociologico giusto per fare del vero western. Proviamo a spiegarci, partendo proprio da quest’ultimo.

Il West e la frontiera

Agli inizi del Novecento, lo storico Fredrick Jackson Turner formulò la sua “teoria della frontiera”, nella quale descriveva e definiva (dalla prospettiva di un colonizzatore) questa peculiarità geografica e non solo dei neonati Stati Uniti d’America. “La peculiarità delle istituzioni americane” scriveva “è il fatto che sono state spinte ad adattarsi ai cambiamenti di un popolo in espansione e a quelli che derivano dall’attraversare un continente, conquistarne le terre selvagge e sviluppando ogni area del progresso, partendo dalle primitive condizioni economiche e politiche della frontiera e arrivando alla complessità della vita di città”. La storia degli Stati Uniti è la storia di una migrazione verso ovest, caratterizzata proprio da questa immaginaria, ma anche parecchio tangibile, linea chiamata “frontiera”.

Gruppo

Che un tempo coincideva con gli Appalachi, la prima vera grande barriera geografica all’espansione verso ovest. Poi divenne il Mississippi, poi le Grandi Pianure, infine le Montagne Rocciose e le coste della California: nel 1890, il Congresso degli Stati Uniti dichiarò morta la frontiera, annegata nell’oceano Pacifico, e completata quindi la colonizzazione del continente. “Gli Stati Uniti” scriveva sempre Turner “sono una gigantesca pagina nella storia della società. Mentre la leggiamo, riga dopo riga, da est verso ovest, ci troviamo raccontata la storia dell’evoluzione sociale”. Questo significa che la frontiera è un confine sempre in movimento, e soprattutto un ecosistema che era destinato a sparire fin dal primo giorno in cui i primi coloni si misero in viaggio verso ovest: dopo di loro, che tracciano le prime piste e aprono le prime rotte, arrivano i primi pastori e i primi fattori, i primi insediamenti stabili, le prime industrie, fino al momento in cui arriva anche il terziario, le banche, le assicurazioni, e la vita di frontiera sparisce per sempre, respinta verso ovest.

Cosa c’entra questo con Killers of the Flower Moon?

C’entra perché il western come genere è intimamente legato all’esistenza della frontiera, che è un luogo dove la natura non è stata ancora domata, dove vige la legge del più forte o comunque di quello che spara meglio, e dove, crucialmente, non arrivano le istituzioni – che siano quelle pubbliche, statali o federali, o quelle private, le “istituzioni” per così dire, che nel film di Scorsese sono rappresentate dal ghigno di De Niro. Prendete quello che è stato forse il vero grande killer del vecchio West, il treno: dove arrivano le rotaie muore la frontiera, perché il treno accorcia i tempi e sposta rapidamente masse di persone e oggetti – dove il western è un genere che parla spesso di scarsità materiale. E infatti i treni nei vecchi western erano cassaforti su rotaia ma anche simbolo di progresso, e rapinarli era anche un gesto politico.

Killers of the Flower Moon Leo

Negli anni Venti del secolo scorso, quando è ambientato Killers of the Flower Moon, la frontiera non esisteva più, in compenso il treno arrivava un po’ dovunque negli States da almeno sessant’anni. Il contesto sociopolitico nel quale si verificano gli efferati omicidi di cui parla il film è quanto di più lontano si possa immaginare dall’idea di frontiera: l’uomo bianco non uccide più il nativo, ma fa di tutto per assorbirlo gentilmente e farlo entrare nei suoi meccanismi sociali. La natura non è più una minaccia, e il cowboy non è più solo di fronte all’infinito: al contrario, la terra è qualcosa di molto moderno, da contendersi a suon di avvocati, e che nasconde un tesoro altrettanto moderno, cioè il petrolio. Siamo ben oltre l’età del western classico, ma anche di quello crepuscolare di fine impero, quello di Gli spietati, per esempio, che si svolgeva nel 1880 quando ancora qui e là rimanevano pezzi di frontiera.

Sì, ma allora se non è un western cos’è?

Un film di mafia. Circa. Non quella italiana né quella italoamericana, ma comunque un film di criminalità organizzata, che parla un’altra volta di uno dei temi più cari a Scorsese, cioè il fatto che la storia degli Stati Uniti d’America sia stata scritta con il sangue sulle strade prima ancora che nei palazzi del potere. L’idea che gli Iu Es of Ei siano il prodotto del suo popolo prima ancora che dei suoi politici. Il contesto degli omicidi degli Osage è, dal punto di vista sociale, clamorosamente addomesticato, lontanissimo dal western nel quale le forze distruttive sono sempre manifeste e non lavorano per sotterfugi. Killers of the Flower Moon è un film subdolo, che è una delle cose meno western che si possano immaginare. È un film che parla di una società già ben formata e consolidata, e del modo in cui il Male sa infilarsi tra le sue crepe, spesso con un sorriso. Una storia non solo di omicidi brutali, ma anche di truffati e truffatori, con questi ultimi che si muovono all’interno di un perimetro di accettabilità sociale che, ancora una volta, non appartiene al mondo della frontiera ma a quello delle città.

Leo e Lily

È significativa in questo senso la presenza un po’ da deus ex machina degli agenti della futura FBI, allora BOI: se il treno ha ucciso il West, “i federali” ne hanno spazzato via le ultime briciole, perché rappresentano l’autorità disincarnata che viene da lontano, la Lunga Mano dello Stato centrale che gli Stati Uniti degli anni Venti facevano tanta più fatica ad accettare quanto più ci si allontanava dalla East Coast. Scorsese ne parla solo tangenzialmente, e li presenta di fatto come dei Grandi Purificatori, che nel nome dell’unità nazionale dimostrarono che certe cose non si potevano più fare, neanche negli angoli più teoricamente selvaggi del Paese. Ecco: una versione di Killers of the Flower Moon con più spazio dedicato allo scontro tra mafia locale e forze dell’ordine federali avrebbe avuto senza dubbio più possibilità di essere considerata un film western.

Trovate tutte le informazioni sul film nella nostra scheda!

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