Master & Commander – Sfida ai confini del mare uscì al cinema in Italia il 19 dicembre 2003.

D’accordo, il titolo è una mezza provocazione che potrebbe far insorgere il fandom di Il gladiatore, e ci sono in effetti ottimi motivi per indicare nel film di Ridley Scott l’apice della carriera e della fama di Russell Crowe. Ma restiamo della nostra opinione, e anzi raddoppiamo: non solo quello di Jack Aubrey in Master & Commander – Sfida ai confini del mare è il miglior ruolo della carriera di Russell Crowe, ma il film di Peter Weir potrebbe anche essere il migliore in assoluto nel quale abbia mai recitato, un capolavoro che sembra scritto apposta per dargli la totale libertà di costruire un personaggio sfaccettato, interessante, tridimensionale ma al contempo epico e archetipico; il film di navi definitivo, e a oggi, vent’anni dopo, ancora imbattuto.

Prima di tutto, un film di guerra

Master & Commander – Sfida ai confini del mare è, ovviamente, prima di tutto un film di guerra, che come ci informa un cartello in apertura si è spostata dalla terraferma agli oceani. La guerra in questione è quella contro Napoleone, ma uno dei segreti del successo del film è che – a differenza del libro da cui è tratto, per ragioni che poi vi spiegheremo – lo sfondo geopolitico è utile, sì, ma non essenziale. Serve a dare un’identità al “fantasma”, la nave nemica che Aubrey e la sua HMS Surprise sono stati spediti ad affondare prima che attacchi la flotta baleniera inglese, e che quindi è francese, sì, ma incidentalmente. Vogliamo dire che la storia raccontata, quella di un capitano ossessionato dalla vittoria contro un avversario più forte di lui, è più universale del singolo episodio storico (vero o fittizio che sia), e in questo senso Jack Aubrey è una figura altrettanto ecumenica – è inglese, ma non è quello che lo definisce.

Master & Commander - Sfida ai confini del mare Russell

Sono piuttosto tutti quei valori che si associano alla vita navale: il rapporto con l’equipaggio, il rispetto per il mare, i riti e le superstizioni di chi passa mesi se non anni senza mai poggiare piede sulla terraferma. E alla vita militare: il rispetto dei ranghi e dei gradi, la differenza tra chi ha l’autorità e chi la sa anche esercitare, le decisioni impossibili di chi sta al comando. Sono tutti temi che Master & Commander – Sfida ai confini del mare tira in ballo nel corso delle sue quasi tre ore, che analizza con un’attenzione quasi scientifica, e che hanno però più a che fare con la guerra e l’umanità in generale che con uno specifico conflitto. Il che non vuole comunque dire che l’ambientazione storica non abbia un peso all’interno dell’opera – anzi, il fatto è che ce l’ha in un modo lievemente diverso, e per parlare del quale possiamo mettere un attimo in soffitta la guerra.

Master & Commander – Sfida ai confini del mare è (anche) una fan fiction su Darwin

Ambientato all’inizio dell’Ottocento, Master & Commander – Sfida ai confini del mare è anche una storia di meraviglie naturali, e della loro scoperta in un mondo che si stava improvvisamente espandendo (come orizzonti) ma anche rimpicciolendo (in termini di tempi necessari a coprirli). Più importante ancora di Aubrey è, in questo senso, il personaggio di Stephen Maturin (Paul Bettany), dottore di bordo, una sorta di versione fan fiction di Charles Darwin, che quando arriva alle Galapagos si rende immediatamente conto del loro inestimabile valore naturalistico, e fa l’impossibile per farsi abbandonare su una di quelle isole a studiare tutte le strane bestie che le popolano.

Darwin

Quello di Maturin è uno sguardo ideale e anche idealista: è stata la guerra a condurre la Surprise in quell’angolo di mondo, ma lui sogna di poter mettere da parte tutte quelle scaramucce tra bianchi per poterlo esplorare in pace. È il perfetto contraltare di Aubrey, per il quale al contrario la battaglia costante è l’unica modalità immaginabile di esistenza, e lo è, come accennavamo sopra, ancora di più di quanto non fosse nei romanzi di O’Brien, dove aveva anche una seconda identità come spia inglese che lo teneva più ancorato alla realtà storica. Nel film di Weir, Maturin è un puro, un simbolo di innocenza, un ideale a cui aspirare: l’uomo (di scienza) che si eleva sopra la violenza per inseguire la conoscenza.

Sia chiara una cosa, comunque: tutta questa filosofia non funzionerebbe allo stesso modo se non fosse sostenuta da una messa in scena sontuosa e da alcune delle battaglie navali più spettacolari di sempre – perché vanno bene le parole e i pensieri alti, ma il cinema è prima di tutto immagini in movimento, e qui Weir fa per i combattimenti tra natanti quello che Salvate il soldato Ryan fece per gli sbarchi su spiagge francesi: prende il pubblico e lo sbatte con violenza tra assi di legno umide, vele spiegate, corpi sudati e sanguinanti, odore di zolfo e soprattutto tante grosse palle di cannone. Weir gestisce il casino con mano saldissima e riuscendo sempre a dare un senso anche alle sequenze più concitate (soprattutto non esagerando con il montaggio), e il risultato è ancora oggi un manuale di istruzioni per chiunque voglia girare una scena simile.

Ultimamente, per i motivi più svariati e non sempre prevedibili (per esempio la sua rilettura in quanto film che propone un ideale sano e non tossico di mascolinità e amicizia maschile), Master & Commander – Sfida ai confini del mare è tornato di moda, soprattutto negli Stati Uniti dove si trova su molti servizi di streaming (a differenza dell’Italia). Lo stesso Peter Weir è tornato a lodarlo, e pare che sia in lavorazione anche un prequel. Non abbiamo nulla da dire: a vent’anni dalla sua uscita, si merita tutte le lodi e le rivalutazioni di questo mondo. E per una volta non ci dispiacerebbe tornare a bordo di quella nave.

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