Vi ricordate quando vi abbiamo raccontato di come la Pixar aveva cancellato quasi definitivamente Toy Story 2 dai suoi server? Con una serie di comandi sbagliati erano stati eliminati tutti i file dal computer e il backup era fallito per via di un errore nell’impostazione del disco. Furono salvati da un’animatrice che era a casa per maternità. Aveva una copia del film aggiornata a due settimane prima del fatto. Qualche giorno fa vi abbiamo riportato l’intervista di Joe Rogan a Zack Snyder. Il regista a quei microfoni aveva spiegato di conservare una copia in pellicola dei suoi film perché non si fidava della capacità di conservazione del digitale. Il supporto fisico è a prova di qualsiasi inconveniente digitale. Ha ragione.

Vi ho fatto questi due esempi per rendere l’idea della portata di un problema che allo spettatore appare marginale, ma che fa perdere il sonno agli archivi, alle cineteche e alle produzioni: quanto possiamo fidarci del digitale come strumento di conservazione dei film? La risposta è: molto poco. 

Come avviene la conservazione dei film?

Le fondazioni intente alla preservazione delle opere della settima arte da tempo evidenziano enormi grattacapi rispetto agli archivi digitali. Se infatti le pellicole hanno dato prova di una grandissima resistenza all’usura nel tempo, a patto che siano ben conservate, è più difficile prevedere la durata di un hard disk.

Quando si va a fare un restauro bisogna sempre andare a prendere il file master (o quello che più gli si avvicina) sia per la pellicola che in digitale. Non quindi le copie che ognuno ha sul proprio computer. Questi file di altissima qualità vanno a costituire il grande archivio di film posseduto spesso da chi li ha prodotti. Le library degli studi cinematografici sono merce preziosissima. Vengono vendute, cedute, o vanno a costituire un capitale di titoli da rieditare e da usare per le piattaforme. Sono un valore che va monitorato e preservato dall’usura del tempo. 

L’ideale per archiviare un film in digitale sarebbe, secondo Andrea Kalas, capo dell’iniziativa di preservazione SciTech, quella di “avere una copia del film finale con la migliore risoluzione possibile, con la gamma di colori più ampia, in modo da avere i materiali del film più vicini possibili alla versione di partenza”. Non basta però archiviare questi pesanti file. Bisogna avere un backup, in caso di malfunzionamento. Se creare un doppione può sembrare un’operazione da poco, per librerie con decine di migliaia di film diventa un notevole costo da sostenere. C’è chi ancora preferisce ancora salvare i film su LTO, l’archivio a disco magnetico

Non importa quindi quante copie compresse di un film ci sono in giro, quello che conta è conservare la copia master più vicina all’originale. Da lì si partirà, in futuro, per restauri e opere di preservazione. 

Il problema della longevità digitale

Mettiamo caso che tutto vada bene, che nessun hard disk si rompa o cancelli i dati per un malfunzionamento. Ci sono molti altri problemi per la memoria digitale. La costante migrazione su nuovi supporti comporta un rischio, seppur minimo, che qualcosa vada storto. Inoltre qualsiasi film si troverà prima o poi codificato in un formato non più supportato. Una pellicola può durare 50 anni. Ma può essere così anche per un formato video? Il collaboratore di Steven Soderbergh per la post produzione Larry Blake non è preoccupato che in futuro si faticherà a leggere questi file, la sua soluzione è creare una sequenza di fotografie numerate in TIFF con un file audio WAVE da “ricomporre” a necessità. 

La National Film Preservation Foundation ha lanciato l’allarme: “Abbiamo un’intera era di cinema che è a rischio di venire perduta”. Non intende quella del primo cinema muto di cui conserviamo solo una minuscola parte, ma del primo cinema indipendente a basso budget girato in digitale. Le grandi produzioni hanno impostato sin dall’inizio un sistema logico di archiviazione. Chi aveva meno soldi si è spesso trovato a improvvisare sistemi di conservazione del film su hard disk senza un metodo preciso. Un’opera deve essere però localizzabile negli archivi, ha bisogno di cura, non può essere una memoria digitale buttata alla rinfusa negli archivi di qualche produzione minore. Non possiamo sapere quanti titoli minori rischiano di venire per sempre perduti in disordinati backup.

L’home video e la conservazione dei film

Quando vi abbiamo raccontato la misteriosa esplosione della produzione dei DVD dello scorso anno abbiamo ribadito quanto il possesso di una copia fisica sia l’unica garanzia per poter dire veramente di avere un film in casa. Le piattaforme possono alleggerire i loro cataloghi a piacimento eliminando contenuti non più reperibili altrove. Spesso poi nel passaggio da un formato all’altro (VHS, DVD, Blu Ray, 4K UHD) resta indietro una parte di film. Adattarli ai nuovi standard ha un costo, se non c’è margine di rientro non vengono aggiornati.

La recente scoperta di un supporto a disco capace di essere letto non più in due dimensioni, ma in tre, permetterà di contenere 200.000 GB di dati. Se per l’Home Video tutto ciò non ha senso (anche se si potrebbe contenere un’intera libreria e di più in un disco), questo supporto potrebbe rendere più ordinato e meno impegnativo in termini di spazio la conservazione.

Insomma: non è ancora tempo di buttare via la vostra collezione di film.

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