La prima cosa da tenere presente è che Una vita difficile è una versione molto romanzata e rimaneggiata della vita del suo sceneggiatore, Rodolfo Sonego. Lui era stato davvero partigiano e non in maniera leggera, era stato comandante della brigata Fratelli Bandiera e poi a poco più di 20 anni vicecomandante di tutta un’area che comprendeva parte delle Alpi, Cadore, Cortina e poi fino a Feltre e Vicenza, fino quasi a Verona. Aveva sotto di sé migliaia di partigiani. E arrivò in quella posizione, racconta lui, solo perché il vice precedente era morto e qualcuno lo dovevano mettere al suo posto.
Nel libro intervista da lui scritto “Il cervello di Alberto Sordi”, Tatti Sanguinetti non rievoca quell’esperienza con piacere anche perché, lascia capire tra le righe, lo ha portato anche a uccidere. In seguito, quando è entrato nel mondo del cinema, è stato a lungo il consulente partigiano, qualcuno che veniva chiamato per i molti film sulla resistenza perché l’unico ad averne esperienza di prima mano reale.
Come Alberto Sordi nel film di Risi quindi anche Sonego era passato dalla resistenza, ai sogni di ricostruzione attraverso l’Italia degli anni ‘40 e ‘50 lavorando nell’industria culturale (ma meglio del suo personaggio) e aveva visto il paese cambiare. Tutto questo sta in Una vita difficile.
Dall’altra parte Borante Domizlaff non era un nazista da niente, aveva partecipato all’ecidio delle fosse Ardeatine in maniera attiva, aveva sparato. Era stato processato e assolto perché eseguiva degli ordini di Herbert Kappler. In seguito era rimasto a Roma e lavorava proprio a Cinecittà come interprete, anch’egli nei molti film di resistenza e guerra, quelli più bisognosi di attori tedeschi.
Che non si tratti di un caso di omonimia lo dice addirittura Priebke che in un’intervista del ‘94 a Repubblica menziona un collega che era finito in un film italiano: “Lo hanno preso e messo in divisa perché dicevano che sembrava un perfetto tedesco“.
Questa è una storia uscita fuori da pochissimo, così da poco che nemmeno Tatti Sanguineti, che di Rodolfo Sonego è forse il più grande esperto, ne sapeva nulla. È stato anche grazie al lavoro di Mario Tedeschini Lalli che è emersa e proprio lui in un articolo sulla questione su Il Tascabile ha sentito Sanguinetti per capire, finendo per raccogliere la più interessante delle teorie (dalla più autorevole delle bocche in vita), cioè che la presenza di Domizlaff fosse una scelta consapevole.
È molto difficile infatti che Rodolfo Sonego non sapesse chi fosse Borante Domizlaff, pubblicamente processato poco più di un decennio prima. E del resto Sonego era il primo a dire che in Una vita difficile aveva messo facce, amici, conoscenti, anche la moglie del suo dentista! C’erano anche veri principi e principesse nella scena della cena con i monarchici (Kraft e Nina Hohenlohe-Öhringen). Dunque in una sorta di autobiografia romanzata in cui è pieno di veri volti non è stranissimo che Sonego avesse contrabbandato anche un vero nazista, uno da far accoppare ai suoi protagonisti con un colpo di ferro da stiro. Soddisfazione non da poco e soprattutto soddisfazione probabilmente solo personale. Di cui se pure non era l’unico ad avere contezza, di certo erano in pochi (e quei pochi non avevano nessun interesse a che scoppiasse la polemica) e se lo sono portati nella tomba.
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