Ryuichi Sakamoto è morto ieri. È stato senza dubbio il compositore di colonne sonore più influente per un intero decennio.

Spesso chi muore è arrivato ad un’età tale che il suo contributo è ormai scemato e quando arriva la fine della vita biologica quella professionale è ormai terminata da tempo. La perdita in quei casi è più umana, per chi gli sta vicino, che artistica per tutti gli altri. La morte di Ryuichi Sakamoto è uno dei pochi casi in cui una morte è entrambe le cose, biologica e professionale. L’ultima colonna sonora Sakamoto l’aveva composta per Beckett di Filomarino, il film di apertura di Locarno nel 2021. Prima ancora per Il caso Minamata nel 2020 e prima ancora nel 2015 per The Revenant (nemmeno nominato agli Oscar).

Nonostante abbia anche lavorato con Brian De Palma per Omicidio in diretta, la parte più nota della sua produzione per il cinema rimangono gli anni ‘80, i 10 anni incredibili tra il 1983 e il 1993. Tutto parte con Nagisa Oshima, che lo vuole per Furyo anche come attore per accoppiarlo a David Bowie. La più grande rockstar occidentale e la più grande orientale insieme. Il film è pazzesco, la colonna sonora anche di più (la scena del bacio improvviso e di protesta rimane qualcosa di indescrivibile, anche per la musica che lo accompagna). Era il momento in cui da qualche anno Sakamoto aveva iniziato una carriera solista in parallelo a quella con la Yellow Magic Orchestra (in Italia era noto il loro brano Rydeen, usata per il programma televisivo Fininvest Bis). Sono anni di creatività a valanga, i suoi migliori, dieci come dice Miyazaki in Si alza il vento.

Furyo come spesso capita in Oshima è la storia di come la sessualità sia una forza talmente devastante da distruggere qualsiasi forma di ordine costituito e portare le persone a superare principi, barriere e regole. Sakamoto gestisce un campo di prigionia giapponese durante la seconda guerra mondiale, David Bowie è uno dei prigionieri la cui attrattiva sessuale e la cui consapevolezza di questa attrattiva portano l’inflessibile ufficiale giapponese ad azioni che non avrebbe mai creduto. Sakamoto è un attore perfetto per la parte ma c’è in questo film l’esatta stessa economia minimalista di gesti filmici che si trova poi nella musica di Sakamoto. La corrispondenza è l’inizio di tutta una carriera.

Verranno poi tre film con Bertolucci (L’ultimo imperatore, Il tè nel deserto e Piccolo Buddha) con tre temi famosissimi e un Oscar (anche unica candidatura, decisione criminale) e Tacchi a spillo di Almodovar, tra gli altri. È adorato dagli autori europei e nel 1992 musica un caposaldo del cinema europeo, l’adattamento (ennesimo) di Cime tempestose con Juliette Binoche, diretto da Peter Kosminsky. Poi, dal 1993 in poi molti altri lavori, alcuni anche pregevoli ma nulla come i brani composti per L’ultimo imperatore o il tema di Il tè nel deserto. Nel 1996 una raccolta intitolata proprio 1996 racchiuderà più o meno questo periodo della sua produzione in una compilation potentissima.

Sakamoto è stato un compositore con un piede solidissimo nel vecchio mondo delle musiche per il cinema e uno, per inclinazione e gusti personali, nell’avanguardia, che come spesso capita a quelli come lui non ha mai smesso di perseguire anche in tutta una parte della sua produzione ben meno nota (inclusa la composizione di una delle prime suonerie personalizzate e musicalmente complesse in esclusiva per Nokia). Le sue erano colonne sonore dotate di temi e melodie memorabili, chiare e perfette per l’epica dello schermo come i classici degli anni ‘50 e ‘60, ma anche musiche che erano fondate sulla capacità di creare atmosfere e spazi per le immagini. Non c’era solo l’esaltazione del tema che cavalca accanto alle immagini, innalzandole e aiutandole a raggiungere i loro obiettivi, molto spesso, non diversamente dalle sue composizioni non legate al cinema, erano brani che lavoravano sull’atmosfera più che sull’azione. Per questo perfetto anche per The Revenant come per paesaggi desertici.

In un decennio in cui tutto il cinema, anche quello dei grandi autori, sembrava tendere al blockbuster, ai grandi budget e quindi alle grandi storie in ampi spazi, la musica di Sakamoto è stata ciò che quegli spazi li preparava e li raccontava. Impossibile pensare che i deserti di Bertolucci potessero avere quella medesima potenza evocativa e drammaturgica senza quella melodia di violini struggenti. Impensabile immaginare L’ultimo imperatore senza quel tema centrale così delicato, imperiale ma di nuovo drammatico. Armonie dietro le quali sembra sempre di intuire un primo piano, una linea di dialogo affilata che rivela un intreccio o una decisione da prendere. 

Un brano come Rain forse riassume tutta la sua visione della musica per il cinema, qualcosa con una melodia chiara e molto accattivante, un ritmo che sia in pieno accordo con i movimenti degli attori nella scena ma anche un potenziale drammaturgico che lotta con quello della storia raccontata e da quella lotta emerge il senso di ogni scena.

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