Sitcom – La famiglia è simpatica è disponibile su Netflix

Papà ti ha fatto un regalo…desideravi che morisse“. Così Pascale (Géraldine Pailhas) dice alla sorella Emmanuèle (Sophie Marceau) in È andato tutto bene, ultimo film di François Ozon, attualmente nelle sale. Il loro odiato e anziano padre, colpito da un ictus, manifesta la volontà di mettere fine alla propria vita e chiede aiuto a Emmanuèle, facendo riaffiorare sentimenti repressi. Una frase simile la sentiamo anche in Sitcom -La famiglia è simpatica (1998) primo lungometraggio del regista, da poco disponibile su Netflix: un’occasione per riscoprire un’opera che contiene già un tema ricorrente in tutta l’ampia filmografia del cineasta francese, il difficile rapporto col padre.

Topolini pasoliniani e inutili ribellioni

Sitcom è una precisa satira su un’apparentemente normale famiglia borghese. Un Teorema, nella sua accezione pasoliniana: nell’omonimo film del ’68 un enigmatico ospite (Terence Stamp) si introduce nella casa di una ricca famiglia di un industriale milanese, scuotendone dal profondo le vite. Qui invece c’è un piccolo topolino, portato in casa dal patriarca (François Marthouret) che risveglia i desideri più reconditi di tutta la sua famiglia. Il figlio Nicolas (Adrien de Van) annuncia ad alta voce la sua omosessualità e inizia a organizzare orge selvagge; la madre (Évelyne Dandry), stanca delle poche attenzioni del marito, tenta di sedurre Nicolas per “curarlo” dal suo orientamento. La figlia Sophie (Marina de Van) si butta dalla finestra in un tentativo di suicidio, ma l’incidente le causa solamente la perdita dell’uso delle gambe; comincia così a praticare il sadomasochismo sul suo fidanzato David (Stéphane Rideau).

In Sitcom, l’obiettivo del regista va oltre l’épater le bourgeois, lo scandalo dell’istituzione borghese, perché il suo sguardo glaciale si rivolge a tutti i protagonisti. La madre che si prefigge di aiutare i figli ma non sta a ascoltare la figlia che si sente poco considerata, e se ne va tranquilla a lezione di fitness; il fratello che riscopre la vitalità ma quando ha davanti la sorella in procinto di suicidarsi non fa nulla. Esasperando parole e azioni, Ozon ne rileva lo scacco: gli atti sovversivi, scaturiti a partire da quelle istanze che non sono ascoltate o accettate, vorrebbero essere la chiave per l’affermazione di sé e di una ribellione alla chiusa mentalità dei genitori, ma non vanno oltre la dimensione ludica.

Quando Nicolas rivela di essere gay, questi non sembrano volersene fare una ragione; ma se la madre, quanto meno si (auto) convince di fare qualcosa, la figura paterna, che introduce il topolino nell’abitazione, resta poi indifferente e in silenzio di fronte a cosa gli succede intorno, e le poche parole di conforto che rivolge al figlio sembrano del tutto false e artificiose. C’è un qualcosa di non detto, di nascosto (Sophie allude al fatto che sia omosessuale) ma è nella reticenza che cova l’incomunicabilità. Attraverso la sua impassibilità, sembra neutralizzare tutte le spinte sovversive della famiglia, che continua a ritrovarsi come se nulla fosse a tavola per la cena. E così ogni possibilità di reale scuotimento delle coscienze pare vano. Ma quella di Sitcom è solo una delle tante figure negative di padre che compaiono nella filmografia del regista.

Foto di famiglia impossibili

Facciamo un passo indietro. Usare le etichette di autore versatile e inclassificabile sembra ormai ridondante per un cineasta come François Ozon, attivo e prolifico da oltre trent’anni. In appena sei mesi, è arrivato nelle sale italiane un suo film sulla gioventù (Estate ’85) e poi uno sulla vecchiaia (È andato tutto bene), e a breve il suo remake di Petra Von Kant di R. W. Fassbinder aprirà il Festival di Berlino. Ma, anche tra titoli in apparenza così diversi, si può scorgere un fil rouge : il fantasma della morte e l’idea di un padre distante o assente (in Estate ’85 Alexis esplicita da subito le sue pulsioni di morte, David vive da solo con la madre). Temi che ritroviamo anche nei corti che precedono il suo esordio al lungometraggio.

In Photo di Famille (1988), di appena 6 minuti, il figlio, dopo una cena di famiglia, avvelena la madre, pugnala la sorella e strangola il padre, poi riunisce i tre sul divano del soggiorno e fa loro una foto, con lui al centro, sorridente, che li tiene fermi. Una ricerca impossibile della famiglia perfetta, tramite un atto estremo che non sembra trovare spiegazioni. Nel successivo Victor (1993) il protagonista elimina il padre e la madre perché non possano assistere al suo suicidio, ma poi non riesce a uccidersi e finisce per giocare con i loro cadaveri, che tiene nascosti nella sua camera da letto. Ancora, in La petite mort (1994), Paul, su invito della sorella, va a visitare il padre morente all’ospedale. Il giovane non lo vede da sei anni e per tutta la sua vita ha pensato che lo giudicasse male e che perfino credesse che lui non era veramente suo figlio. Dinamiche assai simili a quelle del suo ultimo film: il rifiuto del padre mai elaborato del tutto che riaffiora al momento del suo avvicinarsi alla morte.

Padri assenti e ingombranti

Anche quando è vivo e vegeto, il padre è spesso assente: nel mediometraggio Regarde la Mer (1997) una giovane madre trascorre le vacanze estive al mare con la figlia mentre il marito è lontano per lavoro. Questi comparirà solo sul finale, troppo tardi per far fronte alla brutalità che rivolge su di loro la misteriosa Tatiana. Nei lungometraggi successivi, citiamo Ricky (2009), che inizia con la fuga del padre che lascia in difficoltà la giovane madre nell’occuparsi della figlia piccola. In Nella casa (2012), invece, il giovane Claude, dopo l’abbandono della madre, vive solo col padre di umili origini, con cui non lega. Decide così di intrufolarsi nella casa e nella famiglia borghese “perfetta” di un suo compagno di classe, infatuandosi della madre. L’ introduzione di un elemento estraneo che disturba la quiete borghese, come in Sitcom, qui in una cornice metatestuale: il protagonista scrive delle sue visite in racconti letti dal suo professore di lettere che lo incita a continuare.

E arriviamo allora a È andato tutto bene: la satira presente nell’esordio sembra totalmente svuotata per preferire un approccio intimo e umano, che alterna dramma e commedia. Ma ancora una volta c’è un padre che nel passato è stato un pessimo padre, anch’esso segnato da un’omosessualità mai dichiarata apertamente. Una figura autoritaria e ingombrante, che, anche sul letto di morte, continua a mostrarsi capriccioso e cocciuto, a fare scelte tra le sorelle, mettendo a dura prova il loro (e il nostro) sguardo nei suoi confronti, nel momento in cui necessita di un aiuto. Dove Sitcom porta alla distruzione del nucleo famigliare, qui si arriva alla tardiva riconciliazione, ma lo sguardo di Ozon verso la figura paterna rimane sempre non conciliato. “È amore o perversione?”

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