C’è stato un momento in cui sia George Lucas che Steven Spielberg hanno pensato le proprie opere come oggetti in loro possesso, perfezionabili e da ritoccare a piacere. Questa idea ha portato a numerose riedizioni di Star Wars e alla versione del 2002 per il ventennale di E.T. l’extra-terrestre. Entrambe con dei cambiamenti alla pellicola originale. Entrambe, come benzina sul fuoco della passione dei fan, hanno scatenato un incendio di polemiche e di infinite discussioni.

Spielberg si è presto pentito dei cambiamenti apportati rispetto all’opera rilasciata nei cinema. Sono parecchie le volte in cui ha avuto modo di scusarsi. La più recente è stata in occasione di una masterclass del Time Magazine. Ve ne condividiamo un estratto:

È stato un errore. Non avrei mai dovuto farla. E.T. è un prodotto della sua era. Nessun film dovrebbe essere rivisitato basandoci sul quello che siamo ora, sia volontariamente o per una qualche forma di costrizione.

Potete leggere l’intero suo intervento sulla questione cliccando qui

Il suo ragionamento è ormai chiaro. Quando pensò le modifiche, tra cui il più contestato cambio dei fucili dei poliziotti in dei walkie-talkie, credeva di rendere il film più vicino alla sua sensibilità presente, come se l’avesse girato in quel momento. Rifiutando cose che, da giovane sul set, non gli avevano dato fastidio. Ora invece si è convinto che il cinema non debba essere interpretato così. Anzi, il suo valore è proprio al contrario. “I nostri film sono come dei segnaposti di dove eravamo quando li abbiamo fatti, di come era il mondo in quel periodo e di cosa il mondo stava ricevendo quando abbiamo diffuso le nostre storie”. 

Ovvero: il film è una fotografia di un tempo. Quando si chiude, quando arriva al cinema e viene “regalato” agli spettatori, entra a far parte di un immaginario collettivo che non va toccato. Nemmeno dal suo autore. Il regista non è in possesso dell’opera (diritti a parte) più del pubblico o di tutti gli altri che ci hanno lavorato. Può cambiarla, ma sarebbe sbagliato. Significherebbe rovinare un’eredità. Come prendere un’istantanea di un tempo passato e ritoccarla per farla sembrare scattata oggi. Invece il suo fascino e il suo valore di testimonianza sta proprio nel suo rappresentare un’epoca, nella sua antichità e quindi nella sua diversità.

George Lucas vs Steven Spielberg: scontro tra filosofie

Non la pensa così George Lucas. La sua filosofia cinematografica lo porta ad interpretare l’oggetto filmico come un’opera in costante divenire. Mai perfetta, sempre perfezionabile. Lo scopo del regista è farla tendere sempre di più alla sua visione, sapendo che non ci sarà mai una sovrapposizione totale, perfetta, per via dei limiti del mezzo stesso. Qui una sua dichiarazione:

La mia motivazione per tornare sui film e lavorare di nuovo è che, a differenza dei libri e delle sinfonie, non sono mai finiti. Vengono abbandonati o te li strappano di mano. Ad un certo punto qualcuno dice “È abbastanza. Lo facciamo uscire in sala”. Così dici “ma non è finito!”, “continueresti a lavorarci per cento anni se ti lasciassimo fare”. 

Così, lui si era convinto di poter migliorare Star Wars di volta in volta, adattandolo come un lavoro mai concluso. Con un effetto collaterale. Le persone toccate dalla saga come un qualcosa di importante si sono invece sentire derubate. Private di una visione che sentivano di possedere e che invece cambiava sotto i loro occhi. Non una, ma più volte!

È significativo che in entrambi i film, E.T e Star Wars, le modifiche abbiano indebolito la violenza dei contenuti. I fucili da una parte, Han Solo che spara per primo dall’altra. Ascoltare i registi parlare dei cambiamenti ai propri film è pertanto interessante per ottenere spunti di riflessione anche su come gestire film ritenuti offensivi per via dei contenuti e delle idee espresse “fuori tempo”. Censurare, cambiare, avvisare o ignorare? 

La filologia del film si deve per forza di cose intrecciare con il pensiero dei registi, il dibattito su cosa sia effettivamente un prodotto audiovisivo e sulle modalità di conservazione.

A metà tra i due c’è Peter Jackson

Tra questi due poli si inserisce una terza via, quella di Peter Jackson. Il suo Signore degli anelli ha avuto il lustro di un’ambiziosa riedizione in 4K, tornata poi anche al cinema. L’idea è la stessa di Lucas, con il rispetto per la fonte di Spielberg: riportare cioè il film in sala per farlo godere a una nuova generazione per la prima volta sul grande schermo. Per fare questo l’esperienza deve adeguarsi ai moderni standard. Banalmente: passare dalla pellicola (ormai poco supportata dalle sale) al digitale. Ma non solo: l’opera, proprio come un quadro, può essere restaurata. Colori, suoni, luminosità, sono in mano a chi si occupa di scansionare la pellicola master. Bisogna quindi operare per avvicinarsi all’idea iniziale del regista o per ricreare l’esperienza più fedele possibile a quella della prima, inalterata, pellicola mai inserita in un proiettore? 

Peter Jackson ha supervisionato la versione 4K per apportare sì dei miglioramenti, ma non strutturali. Il film resta identico a se stesso. Non è stato aggiunto un fotogramma. Eppure nel restauro si è fatta sentire l’importante presenza del regista che ha uniformato l’aspetto visivo per far sembrare la trilogia, insieme a quella de lo Hobbit, girata nello stesso periodo. Per avvicinare suoni, colori, grana, alla sua visione.

Il punto nel passare al 4K è che non si tratta solo di migliorare la nitidezza, perché i film devono mantenere la loro qualità cinematografica. La cosa positiva è che è possibile far sì che i film sembrino girati nello stesso periodo, finalmente. Ciò che abbiamo fatto con questa rimasterizzazione in 4K HDR è stato proprio rendere i sei film coerenti sul piano visivo e sonoro. Dal primo film, che in termini di storia è Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, al sesto che è Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re, ora sembrano un unico lungo film con lo stesso aspetto e lo stesso suono.

Senza aggiungere effetti visivi, ha però rimosso alcune imperfezioni a quelli esistenti che, inseriti sulle riprese trasposte in altissima definizione, apparivano datati.

In altri termini, Peter Jackson ha cercato di migliorare il film perché questo si potesse adeguare al livello presente, usando la tecnologia per modificare l’apparenza (l’aspetto visivo e sonoro), ma non la sostanza. 

Il ritorno dei classici

La sala post pandemia si è riscoperta come un luogo adatto per rivedere i classici. Non si contano i film ritornati in sala, le riedizioni per anniversari, gli eventi limitati. Il pubblico, generalmente, ha dato una buona risposta, presentandosi alle casse per scoprire o riscoprire un film del passato. È possibile che tutto questo continui nei prossimi anni.

Allora quelle di Steven Spielberg, George Lucas, Peter Jackson, sono tre idee fondamentali da cui partire per decidere come vorremmo che invecchiassero (e come invecchieranno) le opere cinematografiche. E quindi come le conoscerà il pubblico di domani. 

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