Questo articolo richiede di trovare un terreno comune importante per proseguire con la discussione. Ovvero la convinzione che ci siano film Marvel brutti, ma anche altri molto belli. Che i cinecomic possano avere letture a più livelli, arrivando ad essere anche piuttosto profondi. Che l’innovazione dell’universo condiviso, le narrazioni intersecate, siano state una rivoluzione e siano uno strumento narrativo che, quando usato bene, può dare forza sia alle storie che agli archi dei personaggi amplificando il loro effetto. Si può non essere d’accordo con queste cose, ma sarà più difficile incontrarci nel ragionamento. 

Piccoli spoiler di The Marvels di seguito

Un film con un’agenda fittissima

Ora, dei tanti problemi che ha The Marvels (ritmo, tono e villain per dirne tre) ce n’è uno che emerge in maniera meno evidente, ma il suo impatto è tra i più forti. Partiamo dalla locandina. Lì dentro ci sono i protagonisti: Carol, Kamala, Monica e Fury. Ognuno è espressione di un franchise, o di una propria linea di trama dell’MCU e al contempo di un genere diverso. L’idea alla base di questo crossover è di fare da sequel di almeno due storie e collegare quattro trame diverse.

Ms. Marvel viene dalla sua serie omonima, teen e scanzonata, perfetta per il posizionamento su Disney Plus. Anche Monica Rambeau viene da lì, nello specifico da WandaVision. Nick Fury viene… beh da tutto l’MCU e da una Secret Invasion il cui arco narrativo sembra essere spazzato via dall’esaltazione che il cosmo dà al personaggio, ringiovanendolo nel carattere. Captain Marvel, non c’è bisogno di specificarlo, viene dal suo film e dal potente arrivo nel mezzo della battaglia di Endgame

the marvels

Quattro franchise non dovrebbero essere un problema per la Marvel, abituata a gestire nodi narrativi vasti come quelli degli Avengers. Invece in questo caso non è così. Perché per la prima volta nell’MCU accade proprio ciò che spesso ha sbagliato chi ha fallito nell’imitare la formula della Casa delle Idee. The Marvels spende tantissimo tempo e tantissime energie nel raccontare dove eravamo rimasti, chi siano questi personaggi e quale sia lo scopo di quei bracciali misteriosi. A differenza dei precedenti crossover però la storia non riesce a giovarsi di ciò che è venuto prima, anzi, ne sembra rallentata.

Persino i “Marvel Zombi” più duri, ovvero i lettori e gli spettatori più appassionati che conoscono tutto e di più della Lore della casa editrice, si troveranno un attimo spaesati durante il film. Ci sono almeno 20 ore di prodotti audiovisivi da ripassare. Un tempo fare questo lavoro serviva ad amplificare le emozioni del film. In The Marvels serve per capire dove parte l’arco narrativo dei suoi personaggi e dove arriva.

Ciò è, ovviamente, una cosa fondamentale per il godimento di una storia, e Nia DaCosta lo sa bene. Così per rimediare ha dovuto aggiungere così tanti flashback e andare veloce su altri punti chiave della trama che ci si ritrova a chiedersi se certe azioni di Carol Danvers siano già avvenute nel film precedente o se le si stia vedendo per la prima volta qui. Allo stesso modo un cameo importante (che entra ed esce di scena in un attimo) porta a chiedersi come sia il rapporto tra quei personaggi, mai accennato nei film precedenti.

The Marvels è un film tagliato con l’accetta

Questo è solo l’inizio. Il film procede spedito a un ritmo forsennato, veramente troppo perché si possa dare peso a ciò che accade, avvertire un senso di pericolo o anche solo non venire investiti da cambi di tono così repentini da annullarsi a vicenda (una risata dopo un genocidio non è il massimo). Impossibile non avvertire una certa fretta del film nello spuntare le molte cose da fare nel miglior tempo possibile e senza disturbare troppo.

Eppure quando la Marvel funziona bene fa la stessa cosa, ma con un altro spirito ben diverso dal “non disturbare”. È semmai quello di proporre un grande racconto che muove i fili di un arazzo narrativo senza sacrificare l’importanza della storia che si sta raccontando in quel momento specifico. Un esempio è Civil War: punto di svolta dell’MCU, ma anche un film completo in sé, con più letture anche piuttosto profonde sul presente e un blockbuster che non chiede chissà quanti “ripassi a casa”. 

Invece l’opera di Nia DaCosta, una volta impostate le avventure dei quattro protagonisti, espande ancora i collegamenti con altri angoli dell’universo marvel. Deve essere voluto, a questo punto, che la trama principale parli proprio di come le esistenze e i poteri si intreccino inevitabilmente, senza controllo, e l’unica cosa che si può fare per uscirne bene è… cercare di andare a ritmo il meglio possibile. 

Evitando di addentrarsi troppo in spoiler, si può dire che dal secondo atto in poi sono almeno altri quattro i franchise a cui si collega. Due sono a ridosso dei titoli di coda, e non li sveliamo. Di questi uno apre un’infinità di collegamenti, essenziali per essere capito, ad altre storie molto distanti. Un altro viene dal concetto essenziale di incursione e tutto ciò che è successo in Doctor Strange nel multiverso della follia, l’altro (il migliore) è un collegamento strettissimo alla tecnologia mostrata ne i Guardiani della Galassia. Soprattutto il volume 2. 

Questa interconnessione non è ciò che i fan hanno chiesto a gran voce nella fase 4? E allora perché suona così stonata?

Perché il Marvel Cinematic Universe non è mai stato fondato sulle interconnessioni fini a se stesse, ma su come queste possano rendere le vite e la crescita dei personaggi più ricche e coinvolgenti. I camei più belli non sono mai stati quelli più inaspettati, bensì quelli che permettevano una connessione emotiva. 

Com’è il resto di The Marvels?

captain marvel the marvels villain Zawe Ahston

The Marvels ha dei momenti abbastanza riusciti e originali. L’idea di costringere ogni scena d’azione a lavorare su tre piani contemporaneamente ha rinvigorito molto la dinamica dell’azione, presentando delle coreografie mai viste prima. Però questi sprazzi sono costantemente stemperati dalle cose da fare, da dire, da spiegare.

Il montaggio finale sembra lasciare sui server almeno altri 70 minuti di film. Lo si vede proprio nelle assenze, nei tagli troppo veloci. C’è l’impressione che nelle vene di The Marvels scorra tutto un altro film, ben più profondo e riuscito. Carol Danvers è l’essere più potente del cosmo, eppure nella vastità dello spazio è profondamente sola. Una dea odiata, non capita, costretta ad essere annichilitrice. Questa idea c’è nel film e sarebbe bastata a reggerlo in piedi da sola, ma scompare dietro la fretta di portare lo spettatore nell’azione. 

Kamala Khan invece venera Carol e lo fa fin troppo. Un altro bellissimo interrogativo: quando opporsi ai propri idoli? Nel fare quello, nel distaccarsi, Ms. Marvel poteva trovare se stessa. E nel film succede anche! Avviene con la scelta di schiacciare un tasto e l’ammissione di non poter salvare tutti che richiama una cosa successa molto prima a Captain Marvel. Ma qualcuno se n’è accorto? Anche se ce ne si fosse accorti il problema sarebbe un altro: non lo si è sentito emotivamente. 

Per questo The Marvels è forse il film Marvel più sbagliato di sempre, perché cerca di copiare una formula vincente senza rendersi conto che quella formula già la possedeva.

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