William Friedkin è morto lunedì 7 agosto a 87 anni. Non c’è stato regista dalla carriera più cinica e spietata di lui. Nessuno nemmeno si avvicina. Per tutta la sua carriera ha inseguito i film che potessero provocare di più e ha ogni volta trovato anfratti e nervi scoperti da toccare nella più violenta delle maniere.

Gli inizi nella tv in diretta e nel documentario

E dire che aveva iniziato nel mezzo di comunicazione più regolato e dove meno era possibile trasgredire: la televisione. Friedkin appartiene a tutta una generazione di registi americani che si sono formati nella live television, con il ritmo delle inquadrature tra la quali saltare, e che poi hanno fatto il passaggio al cinema. Nel suo caso il ponte fu The People Vs. Paul Crump, un documentario su un condannato a morte, così duro e così battagliero che fece riaprire il caso.

I primi film commerciali

È veramente la premessa migliore per la carriera che Friedkin avrà. Gira dei film commerciali come Good Times (una follia che solo negli anni ‘60 davvero, fatta per cavalcare la fama di Sonny e Cher) e poi arriva alla sua prima provocazione: Festa di compleanno per il caro amico Harold, tratto da The Boys In The Band (che è anche il titolo originale), l’opera di Broadway. È uno dei primi a portare al cinema un film sul mondo omosessuale che non indugi sulle macchiette, non abbia una prospettiva eterosessuale e anzi racconta quelle persone in quegli anni con grandissima onestà e partecipazione. Soprattutto con diversità, il cast di Festa di compleanno per il caro amico Harold comprende tantissime tipologie diverse di persone, in anni in cui i gay erano visti come tutti uguali.

Un aneddoto raccontato dallo stesso Friedkin vuole che in quegli anni lui uscisse con la figlia di Howard Hawks, epico regista di western e commedie sofisticate degli anni ‘30, ‘40 e ‘50. E una sera ospite a cena a casa Hawks la ragazza lo presentò dicendo che anche lui era un regista, Hawks chiese cosa avesse fatto e quando Friedkin disse Festa di compleanno per il caro amico Harold con una smorfia Hawks gli rispose: “Ragazzo, non sono questi i film che vuoi fare….” gli consigliò cinema d’azione e di inseguimenti. L’anno dopo girò Il braccio violento della legge. Essendo questo un aneddoto raccontato da Friedkin stesso c’è da crederci pochissimo, e probabilmente è un modo per lui di accreditarsi come erede di quella grande tradizione americana.

Gli Oscar con Il braccio violento della legge

Di fatto con Il braccio violento della legge esplode, vince 5 Oscar (film, regia, montaggio, sceneggiatura e attore) e contribuisce non poco a fondare la Nuova Hollywood, un periodo di rifondazione del cinema americano all’insegna di antieroi, cinema duro, e una forma di autorialità all’europea che fino a quel momento non era esistita nel mondo degli studios. Quello era un film in cui la polizia non era per niente buona, in cui il protagonista usava mezzi poco ortodossi per catturare i criminali e si dimostrava non molto migliore di loro. Era uno schiaffo alla morale dell’epoca. Per arrivare a quel ritratto di Popeye, il poliziotto interpretato da Gene Hackman, Friedkin non esitò a maltrattarlo fino a distruggere qualsiasi possibile rapporto. Non si potè ricucire nemmeno dopo il successo del film. Si fece odiare per generare quel tipo di performance e prestazione. E se Friedkin litigava con qualcuno manteneva il punto per anni, si veda cosa disse pochi anni fa di Al Pacino.

L’esorcista e il cattolicesimo da cinema

Non era abbastanza, palesemente. Due anni dopo va ancora più a fondo con L’esorcista, un film basato su veri esorcismi, secondo Friedkin. Un film in cui gli audio usati sono di veri demoni in vere possessioni (sempre secondo Friedkin). Considerato uno dei film più spaventosi della sua epoca ha creato tutta un’estetica nuova, si è inventato il cattolicesimo da cinema, una specie di mistica fatta di parole in latino e lotte titaniche tra bene e male, con preti anziani come eroi. Durante la promozione Friedkin fa tutto quello che è in suo potere per spargere la voce che quel che viene raccontato nel film sia vero. Si racconta che la notte precedente il giorno della prima del film (a Roma, per ovvie ragioni) un fulmine colpì la croce sulla cupola della Chiesa di piazza del popolo, situata accanto al cinema Metropolitan nel quale sarebbe stato proiettato il film. Non ci sarebbe da stupirsi se venisse fuori che è una voce messa in giro da Friedkin stesso.

Friedkin vs. Fritz Lang

All’apice della sua fama e del suo potere, nel 1974, si confrontò con Fritz Lang, monumento del cinema espressionista tedesco prima e poi uno dei più illustri rifugiati nel cinema americano. Al contrario del documentario che Bogdanovich girò intervistando John Ford (in cui il primo era in totale deferenza del secondo) quello con Lang è uno scontro, Friedkin non gliene passa una, risponde a tono e lotta con un Lang 84enne per chi comanda in quel documentario.

Similmente qualche anno fa Nicolas Refn provò a fare la stessa cosa con Friedkin stesso e non finì bene per lui. Per capire il piglio che lo caratterizzava e il carattere basta dare un’occhiata a questa clip tratta da una trasmissione televisiva cui partecipò in seguito all’uscita di L’esorcista.

La provocazione di Cruising

In seguito non avrà più un successo paragonabile a quello di quegli anni, anche se farà altri film bellissimi. Uno di questi è quello che gira dopo L’esorcista: Il salario della paura, remake di Vite vendute, con una scena di camion e ponte di incredibile realismo, girata realmente. I ogni film di Friedkin deve avere qualcosa di mai visto prima del resto. Quando la sua stella cade un po’ in disgrazia tenta di nuovo qualcosa di scioccante con Cruising, un thriller nel mondo omosessuale di inizio anni ‘80 con Al Pacino. Sempre Friedkin racconta che il film era così estremo per i suoi anni che usciti dalla prima sua moglie, che aveva visto il film in quell’occasione, non gli volle parlare e gli disse: “Questa volta hai esagerato. Dovresti vergognarti!” Anche qui non c’è per forza da crederci. Avrebbe venduto sua madre per avere anche un solo spettatore in più.

Al di là dell’atteggiamento la coincidenza è che questo grandissimo provocatore era anche un regista di eccezionale capacità immaginativa. Non ha mai giocato nei territori creati da altri ma ogni volta creava il proprio campo, fondando immaginari, scrivendo e dirigendo svolgimenti e atmosfere mai viste e sentite prima, forgiando da sé il proprio modo di fare. Così tanto che non esiste uno stile Friedkin, perché ogni volta sì è adattato e reinventato. Forse solo l’atteggiamento provocatorio è “lo stile Friedkin”. Ad esempio negli anni ‘80 del cinema d’azione crea Vivere e morire a Los Angeles, uno dei polizieschi più duri del suo periodo, dotato di un pessimismo e un nichilismo che la Hollywood reaganiana non conosceva. Lui stesso era un tipo durissimo, si veda quel che accade in questa intervista televisiva realizzata all’epoca di L’esorcista.

La reinvenzione di Matthew McConaughey con Killer Joe

Farà fatica a mantenere fede al proprio nome con i film successivi (quante volte è possibile reinventare da capo il cinema??), ma prima della fine della sua carriera è riuscito comunque a segnare di nuovo due momenti eccezionali anche se meno noti: The Hunted – La preda, nel 2003 con Benicio Del Toro e Tommy Lee Jones, un thriller molto ordinario nei presupposti che lui esegue con un cinismo e un disprezzo della morte impressionanti; Killer Joe nel 2011, il secondo film della rinascita di Matthew McConaughey, ma il primo ad essere davvero visto (passò alla Mostra di Venezia). Friedkin prende l’attore che nessuno voleva nei ruoli seri e lo usa facendone un killer spietato, lo porta all’opposto logico di quel che era in un film non esattamente perfetto, ma con alcune scene indimenticabili. Non reinventa il cinema in quel caso ma reinventa McConaughey per tutti, da quel momento non sarà più incredibile immaginarlo serio.

Uno dei suoi ultimi atti (non dei suoi migliori) è stato The Devil And Father Amorth, un documentario sul più grande esorcista del vaticano in cui Friedkin le spara veramente grosse senza però quella tecnica e quell’abilità in virtù della quale gli si poteva perdonare tutto. Non a caso, all’epoca scrivevamo così nella nostra recensione:

Che Friedkin creda o meno a ciò che dichiara senza esitazione alcuna, è mistero che resterà insoluto quanto le ragioni che si celano dietro il fenomeno della possessione; ciò che c’interessa è la fede incrollabile nel suo prodotto, perché l’arte (e l’artificio) è il terreno di gioco dove il regista di L’Esorcista sa muovere con strategia pressoché infallibile le proprie pedine, tenendo in scacco il nostro scetticismo e subordinandolo all’innegabilità del divertimento.

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