Petra, gli sceneggiatori ci svelano: "Abbiamo lavorato molto sul passato della protagonista" | EXCL
Abbiamo intervistato Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Furio Andreotti sceneggiatori di Petra, la nuova serie Sky Original
Sappiamo che uno degli aspetti più complessi dello scrivere questa sceneggiatura è stato modernizzare le tecniche investigative. Vi siete serviti di un consulente per farlo? Potete raccontarci come avete affrontato questa sfida?
Giulia Calenda: Abbiamo avuto un consulente che mi fa piacere poter citare, perché è stato di grande aiuto per noi, il cui nome è Andrea Grassi, un questore che ci ha sempre seguito. Per quanto riguarda i romanzi, i primi risalgono agli anni Novanta. Rispetto a quei tempi non sono tanto cambiati gli strumenti, quanto la sofisticatezza dei sistemi investigativi, che sono più precisi. Ma la cosa importante per noi era che da questa serie emergesse il punto di vista di Petra, che si avvale sì della tecnica, ma ha un peculiare sguardo su tutto, che si nota sin dalla prima puntata. Lei indaga sulle relazioni e quello che conta in un'investigazione sono i legami tra le persone. Come Andrea ci ha sempre detto, il fattore centrale in un'indagine è quello umano.Quando si adatta una serie TV da un romanzo o da un fumetto, il pubblico si divide sostanzialmente in due: chi vorrebbe una trasposizione maniacalmente fedele e chi invece accetta senza difficoltà le novità. Qual è il vostro approccio come sceneggiatori e che genere di spettatori siete?
Furio Andreotti: La decisione per noi è stata unica ed è stata quella di portare Petra in Italia e creare un racconto universale. Anche quando abbiamo incontrato l’autrice a Genova, Alicia [Alicia Giménez-Bartlett] ci ha detto che le piaceva l’idea che Petra fosse un personaggio universale e che potesse essere portata fuori dall'identità del suo paese e della sua città, che sappiamo essere fortissima, perché il racconto di Barcellona, nei suoi romanzi, è centrale. Però, raccontando lei un archetipo, un certo tipo di donna e di essere umano che decide per se stessa e che fa della sua vita ciò che vuole, ha detto che era interessante che questo aspetto potesse essere portato un po' ovunque. E noi abbiamo subito cominciato a lavorare in questi termini.All'inizio c’è stato un lavoro di identificazione di certe caratteristiche della città: che fosse una città di mare, che avesse un certo clima, che è molto particolare. Una visione che fosse diversa da quella che noi italiani abbiamo di Barcellona, da turisti. Ma piuttosto una città più cupa, portuale, forse anche di altri tempi. Su questo ci siamo confrontati anche con la produzione e c’è stata questa idea di Genova. Per noi è stata una scelta abbastanza organica, non solo quella di portarla ad oggi, ma anche in Italia ed in questo abbiamo accettato il rischio, perché è come immaginare di ambientare Montalbano a Marsiglia. In quanto a me, come pubblico, io sono abbastanza libero rispetto al rapporto romanzo e messa in scena, non sono uno che si aspetta la fedeltà assoluta. Anzi, mi piace quando un autore ha un’interpretazione personale di una cosa e mi piace che si possa scommettere su altro.
Giulia Calenda: Dopo aver studiato, letto, riletto, consumato ed appuntato i romanzi , c'è un momento in cui bisogna anche saperli mettere da parte, altrimenti si rischia di non fare il salto visivo necessario negli adattamenti.
Furio Andreotti: Soprattutto perché nei romanzi di Petra è dominante il suo pensiero e ad un certo punto devi liberartene.
Anche per evitare quei detestabili "spiegoni"...
Ilaria Macchia: Esatto e poi la voce letteraria deve essere restituita con una voce cinematografica e non con la letteratura. In più, per noi, era anche impossibile pensare di essere pedissequamente fedeli al libro, ma anche semplicemente per la questione delle indagini. Nel momento in cui un’indagine - per una ragione tecnica - cambia, non può non cambiare il corso sia degli eventi che dei rapporti, per cui questa è stata una scelta obbligata. Poi, personalmente, come spettatrice ho sempre la sensazione che libri e film siamo due prodotti diversi che possono nascere da uno stesso punto di partenza, cioè la storia. Ma sono due modi così lontani di raccontarla, quella storia, che necessariamente si devono distinguere, quindi io non sono una fan della riscrittura come copia, anzi, si può fare, si può inventare, si può aggiungere.
A questo proposito chapeau, perché l’aver ambientato la storia a Genova ha reso molto bene, risulta bella come città ed è anche bella la visione che ne viene data e soprattutto ti fa dimenticare che era un racconto ambientato altrove, perché sta bene lì dove sta. Tra l'altro è anche inusuale per una serie italiana che una location sia così importante per il racconto ed è raro si mostri il legame tra personaggi e luogo di appartenenza.
Ilaria Macchia: Questo è stato anche merito di Genova. Ci si rende conto che era perfetta perché offre una quantità non solo di location, ma anche di ambientazioni sociali, che sono molto varie. E non è scontato che le città siano così diversificate, al loro interno, da poter accogliere tutto e raccontare tutto. Invece Genova è stata perfetta anche per questo, perché ci ha dato la possibilità di rappresentare tante cose e di farlo in maniera molto chiara.
Parliamo dell’inversione femminile/maschile tra Petra ed Antonio: lui è sensibile, attento, timido, lei sarcastica, taciturna, sboccata, sessualmente disinibita. Come è stato esaltare questi aspetti dei due personaggi?
Giulia Calenda: Forse è la parte in cui ci siamo divertiti di più, perché c’era questo capitale umano di questi due personaggi da sfruttare. È molto giusto quello che dici, che sono invertiti, non ci avevo mai pensato, però accade molto nella vita di ritrovare queste donne che sono un po' più maschili e degli uomini che sono più femminili, quindi è una cosa molto interessante. I dialoghi sono stati per noi una palestra di divertimento, di scrittura, che abbiamo esercitato anche insieme a Paola [Cortellesi], ad Andrea Pennacchi ed a Sole [la regista Maria Sole Tognazzi]. Sono stati dialoghi che abbiamo rivisto fino all'ultimo, per trovare proprio quella voce che caratterizza ognuno dei due. Quindi il rapporto tra di loro credo sia tra le cose più riuscite, qualcosa che rimane molto di questa serie. Ti porta a chiederti: “Che ne sarà di loro? Come andrà tra questi due esseri umani così diversi, eppure così uguali”.
Furio Andreotti: Poi si parla anche di amicizia uomo/donna, ci sono tanti temi interessanti: la differenza culturale, di rapporto con il lavoro. Lei in un archivio, lui sulla strada. Lui è quello dei dati, lei quella del pensiero. Sono tantissime le cose che ne potrebbero fare dei nemici ed invece si ritrovano e si vedono in queste differenze. È stato molto interessante poterlo scrivere.
Comprensibilmente si parla spesso della protagonista di questa serie in termini encomiastici: “Petra è libera, indipendente, una persona che pensa al di fuori dagli schemi...” Vorremmo però provare a rovesciare con voi la medaglia e parlare delle sue mancanze: una certa rigidità emotiva, la sua ostinazione nel pensare o nel pretendere di essere un’isola. Senza difetti, non ci sarebbe dopotutto evoluzione del personaggio, che è ciò che davvero conta nel raccontare una storia. In questo senso, quella di Petra non era una storia facile da narrare e ci piacerebbe quindi sapere come avete ricercato l’equilibrio tra gli aspetti positivi e quelli negativi della sua personalità.
Ilaria Macchia: Devo dire che non abbiamo fatto una vera e propria ricerca. Lei è una rappresentazione di come siamo fatti tutti. Non credo che in una persona ci siano più difetti che pregi. Lei è fatta così, quello che la caratterizza è che, nonostante abbia tanti difetti, sa essere anche libera, però, proprio questa libertà è un limite per lei. E questo è qualcosa che mantiene sempre, Petra mantiene sempre una mediazione tra quelli che sono i suoi difetti e quelli che sono i suoi pregi, per arrivare ad essere incompleta, ma se stessa. E mi sembra che questo sia il vero obiettivo raggiunto e la nostra speranza è che continui ad esistere questo equilibrio così precario, ma anche così vero.
Furio Andreotti: Una cosa di cui non abbiamo mai parlato, è quanto abbiamo lavorato sul passato di Petra. Noi il suo passato ce l’abbiamo chiaro, lo abbiamo elaborato tantissimo. Ce lo siamo immaginato, abbiamo immaginato lo studio dove lavorava con il marito, il matrimonio con Lorenzo a Las Vegas. Abbiamo addirittura pensato ad un momento in cui lei rischiava una gravidanza… Per arrivare a quella piccola porzione di vita che vediamo nella serie, in realtà abbiamo lavorato su una grande porzione di vita precedente. Quella donna con il filo di perle che beve champagne ghiacciato, di cui parla il primo marito, noi l’abbiamo vista. Siamo partiti dal passato di Petra per raccontare perché è diventata quello che è. Per noi è molto chiaro da dove arrivi quell'embrione di chiusura e di voglia di solitudine.
Con le tue parole spalanchi le porte ad una domanda che da spettatrice mi sono posta e che è culminata nella scena in cui Petra consola Antonio, nel secondo episodio. La gestualità di Petra, lì, è terribilmente rigida all'inizio, poi gli si avvicina ed irrompe l'umanità quando lo abbraccia. Di lei è sicuramente chiaro che è fatta in quel modo specifico, ma non si sa bene il perché sia così. E dalla serie, quindi, ci si aspetta una risposta. Nell'augurarci che ci sia una seconda stagione, come è stato detto in Conferenza Stampa, vorrei capire di più di lei, rispetto a quei pochi indizi che ci sono stati dati soprattutto nell'ultimo episodio, in cui ci viene concessa l’opportunità di spiare nella vita che si è lasciata alle spalle a Roma. Ma non è stato un rischio concedere così poco della sua origine?
Giulia Calenda: Quella scena e quel gesto, io li trovo molto emotivi. Lei fa il suo massimo, che è tantissimo, nel cercare di toccarlo e di accoglierlo a modo suo. Come dico spesso, penso che Petra abbia un cuore caldissimo e quando uno ha un cuore così caldo, ha paura di tirarlo troppo fuori e quindi si protegge. Noi scrittori, e spero anche gli spettatori, intravediamo in lei questo magma che ha dentro, probabilmente anche perché ha preso delle grandi mazzate nel passato, come succede spesso nella vita. Quando si è giovani ci si lascia andare ai sentimenti e poi si comincia a fare passi indietro, perché capitano una serie di cose che ci feriscono. Io vedo la sua umanità anche rispetto agli ultimi, nei suoi casi. Quando c'è una persona di cui nessuno si vorrebbe occupare, per lei è ugualmente importante indagare e capire e trovare risposte. Secondo me è un personaggio molto interessante, proprio perché ha tutta una parte nascosta, che fa domandare alle persone: “Quando verrà fuori? Quando esploderà?”
Furio Andreotti: Questo mistero è parte del suo fascino. In amore vince chi fugge. Sicuramente è qualcuno che ha subito un danno, un dolore ed ha qualcosa da proteggere. Ed il modo migliore per farlo, per lei, è isolarsi in questa fase della sua vita. L’incontro con Antonio rimette in discussione le sue certezze. La serie, d'altronde, racconta proprio questo, la possibilità che abbiamo tutti di rimetterci in discussione e scontrarci con il fatto che, nonostante le nostre sicurezze, tutto possa essere rivoluzionato dalla variabile umana.
Dal punto di vista autoriale ho trovato un rischio anche l'introduzione di Petra, come tratta la povera Salomé, vittima dello stupro. Tant'è che, quando se ne rende conto anche lei, esce dalla stanza e lascia campo libero al suo collega.
Ilaria Macchia: È stato un rischio, ma per noi era importante farlo, proprio perché avevamo a che fare con questo personaggio e non con un altro. Non potevamo tirarci indietro. Sicuramente è stato un azzardo, ma se c'è un'evoluzione di questo personaggio, c'è anche perché la partenza è quella.
Giulia Calenda: Come dicevo prima, Petra - in realtà - è troppo toccata da questa ragazza ed è come se mettesse un muro tra lei e le persone che sono invase dal dolore. Invece Antonio le insegna che si può entrare in contatto, portando un cornetto, mettendosi seduti ed essendo accogliente. Le suggerisce che non succede nulla, che si può trovare il modo di entrare in contatto con gli altri senza farsi invadere. Il problema di Petra è non farsi invadere, perché nei suoi due precedenti matrimoni si è consegnata totalmente nelle mani di questi mariti ed ora che vuole essere solo se stessa, si è irrigidita.
Furio Andreotti: È come se la lezione che avesse imparato è che essere se stessi significhi censurarsi e chiudersi al mondo. L’esperienza con Antonio e con i casi la portano invece a rivalutare la possibilità di poter continuare ad essere se stessa, senza chiudere fuori tutto il mondo.
A tale proposito Petra viene anche spesso definita una donna completamente libera, ma la libertà assoluta è una chimera. Tanto che il suo atteggiamento si scontra con la realtà dei casi che deve risolvere e la sua evoluzione è anche nello scoprire che non può essere assolutamente libera.
Furio Andreotti: Ma infatti il suo ufficio è come la teca di un ragno. Lei è in una scatola di vetro e pensa che stare chiusa lì sia vivere. In realtà poi la vita invade i suoi spazi e la viene a cercare.
La nostra ultima domanda riguarda il metodo di lavoro adottato. Avete lavorato assieme, collaborando come una "writers room" americana o scritto separatamente?
Giulia Calenda: Noi lavoriamo insieme, la scrittura è stata fatta insieme, poi magari qualcuno comincia a revisionare il copione 1 e 2 e così via... Naturalmente c'è un sistema di divisione del lavoro, ma è fatto per lo più in gruppo.
Furio Andreotti: Con noi ha collaborato anche Enrico Audenino, che ci ha aiutati con il terzo episodio, ma siamo stati sempre assieme anche quando c'era lui.
Ilaria Macchia: Nella stessa stanza, un confronto continuo, sullo stesso computer.
La prima stagione di Petra va in onda ogni lunedì su Sky Cinema Uno, canale 301 della piattaforma di Sky.
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