Difficile trovare tra i personaggi di Game of Thrones uno che abbia subito un’evoluzione più drastica e complessa di quella di Bran Stark: partito come ragazzino scapestrato e disobbediente con la passione di arrampicarsi nei luoghi più impervi, passa poi ai difficili ruoli di invalido, profugo, apprendista mistico e neonominato Corvo a Tre Occhi per poi chiudere la sua ragguardevole carrellata come nuovo Re dei Sette (anzi, sei) Regni. A conti fatti, il vincitore del “Gioco dei Troni” che dà il titolo a tutta la serie è lui, quello che gli allibratori avrebbero dato come uno degli outsider meno quotati. E se da un certo punto di vista, l’unione tra potere “mistico” e quello temporale può essere una soluzione ai problemi di cattivo governo che affliggevano Westeros da secoli, la storia personale del giovane Stark non è priva di problemi.

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Fenomenali Poteri Cosmici…

Come molti altri personaggi, Bran si presenta all’appuntamento di fine stagione 6 con un carico narrativo imponente e un altissimo potenziale per le stagioni finali. Nelle sue ultime vicende lo abbiamo visto raccogliere il testimone dal vecchio Corvo a Tre Occhi precedente, di cui eredita titolo e poteri mistici. Lo abbiamo visto diventare la nemesi e il chiodo fisso del Re della Notte, che ahimè, per motivi mai chiariti con l’importanza che meritavano, farà della caccia e della distruzione di Bran Stark il suo obiettivo primario. Soprattutto lo abbiamo visto, nell’inaspettata e tragica sequenza che segna il destino di “Hold the Door/Hodor” potersi muovere nel tempo e nello spazio addirittura al punto di interferire e alterare gli eventi delle altre epoche. A chiusura di questa cavalcata si aggiunge inoltre la scoperta, attraverso un’ulteriore visione, del vero retaggio di Jon Snow come ultimo Targaryen. Bran si presenta dunque al tavolo delle due stagioni finali con una mano di carte potenti e vincenti da giocare. Ma…

…In un minuscolo spazio narrativo

Il problema principale di Bran sta nel fatto che nella mente dell’autore originale, George R.R. Martin, si tratta di un personaggio essenziale, di un tassello chiave risolutivo per tutta la vicenda delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Purtroppo, per gli stranoti motivi di ritardo che ormai tutti conoscono, tale ruolo non si è mai esplicitato col dovuto dettaglio negli ultimi romanzi del ciclo mai pubblicati. E di certo, visto che si parlava di carte, queste sono carte che l’autore ha tenuto ben strette al petto, senza entrare troppo nei dettagli. Quindi gli showrunners si sono ritrovati nel poco invidiabile compito di farne un personaggio chiave, ma dovendo decidere coi loro mezzi i come e i perché. Col senno di poi, riguardando le stagioni 7 e 8, appare chiaro che hanno mollato l’impresa a metà strada, scegliendo di andare “sulla fiducia”. Complice anche lo spazio limitato e il marasma di trame da stipare nei pochi episodi a disposizione delle ultime due stagioni, si dà per scontato che Bran sia risolutivo e cruciale, ma sulle motivazioni e sull’entità di questa importanza si glissa disperatamente.

Perduta, o quanto meno ininfluente, è la capacità di sondare il tempo e lo spazio e di alterare gli eventi delle altre epoche. Se si eccettua un uso per smascherare gli intrighi di Ditocorto, peraltro avvenuto “fuori scena”, Bran rimane graniticamente passivo per tutta la permanenza a Grande Inverno dopo il suo ritorno nelle terre civilizzate. Permane il mistero anche sulla sua importanza/pericolosità per il Re della Notte, che di fatto rischierà vita ed esercito pur di raggiungerlo, ma senza che ci venga detto perché la sua eliminazione è cruciale. Non migliorano le cose sul fronte della caratterizzazione personale e della profondità del personaggio: il Bran post-viaggio oltre la Barriera è una figura che ha più poco di umano. Freddo, insensibile, atarassico, imperturbabile. Teoricamente è uno sviluppo che avrebbe anche senso, per denotare come la crescita dei suoi poteri lo abbia allontanato dalle passioni e dai tratti più essenzialmente umani, ma restando l’entità e lo scopo dei poteri in questione molto fumosi, riesce alquanto difficile empatizzare col personaggio o quanto meno capire in nome di cosa abbia sacrificato la sua umanità. Come per tante altre di cose che riguardano Bran, la reazione dello spettatore medio è di prenderne atto, fare spallucce e passare oltre.

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“Chi ha una storia migliore?”

È la domanda con cui un Tyrion Lannister, sfinito dal ruolo di farsi portavoce dei tentativi di giustificare le esigenze narrative degli showrunner, tenta di spacciarci la motivazione che condurrà Bran Stark al trono. Non ce ne voglia Peter Dinklage, ma perfino la sua indiscussa bravura attoriale fatica a rendere plausibile quella che è l’ascesa al trono di Bran.

Prima di tutto, per un’apparente contraddizione di caratterizzazione. Uno dei pochi tratti distintivi che emergevano nel Bran delle ultime fasi era appunto il suo distacco dalle questioni terrene. In varie occasioni aveva ribadito agli altri Stark e ai loro alleati di non potere/volere/dovere più ambire a ruoli politici o ‘temporali’ qualsivoglia, rinunciando anche a ogni pretesa su Grande Inverno, suo di diritto in quanto erede maschile più grande e legittimo. Se però tutto questo viene invalidato nel momento in cui l’offerta è quella di sovrano di Westeros, non sappiamo più che pesci pigliare.

Inoltre, anche a voler dare per buona la motivazione di Tyrion, il pubblico mondiale avrebbe qualcosa da ridire sul fatto che la storia di Bran sia la migliore tra quelle a cui abbiamo assistito. Sotto sotto dovrebbero pensarla così anche gli showrunner, avendola messa in pausa per un’intera stagione di cui del giovane Stark si sono perse le tracce. Ma da qui a definirla la migliore, ce ne corre: senza fare troppa ironia, verrebbe da dire che quasi tutto il resto del cast ha una storia migliore della sua.

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Ma è una scelta che pesa anche in termini di coerenza e verosimiglianza interna. Non siamo nella foresta incantata di Once Upon a Time, dove forse la motivazione di avere una bella storia potrebbe essere plausibile per giustificare un’ascesa al trono. Siamo in Game of Thrones, dove la realpolitik, il pragmatismo e il cinismo la fanno da padrone nelle questioni di successione e di governo. Torniamo per un attimo col pensiero ai ‘grandi politici’ delle stagioni passate: possiamo solo immaginare in che modo figure come Tywin Lannister, Robert e Stannis Baratheon, Olenna Tyrrell e Oberyn Martell avrebbero reagito alla proposta di scegliere come re ‘chi ha la storia migliore’. È una scelta che prende tutti per sfinimento, personaggi, spettatori e sceneggiatori inclusi.

Rimaniamo con il proverbiale fiammifero in mano: sulla certezza che Bran sia una figura cruciale per le sorti del regno e che a conclusione di tutta la vicenda sia lui a salire al trono sono questioni che non sono necessariamente contestabili, e che probabilmente nell’ottica della storia originale concepita dal romanziere avevano/avranno/avrebbero un loro perché. Arrivarci nel modo tortuoso e stentato che abbiamo visto sul piccolo schermo, ancora una volta, lascia l’amaro in bocca.

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