L’ultimo ad unirsi all’ormai lunghissima lista, con la sola eccezione di Apple TV+, di servizi streaming che ha deciso di variare il proprio piano base da add-free, cioè senza pubblicità, ad uno con pubblicità è Prime Video, dimostrando inequivocabilmente come l’era degli streamer che si proponevano come validi e meno costosi sostituti della TV via cavo sia definitivamente morta e come un modello di business che ha retto per un certo numero di anni non sia ormai più sostenibile, imponendo loro la scelta di aumentare i prezzi degli abbonamenti ed introdurre piano con la pubblicità.

Come funzione la pubblicità nello streaming

La pubblicità televisiva in streaming viene eseguita all’interno dei contenuti televisivi guardati tramite un dispositivo connesso a Internet.
Gli inserzionisti utilizzano queste piattaforme supportate da pubblicità per offrire agli spettatori annunci mirati in base al loro comportamento in rete, interessi e dati demografici. Questi annunci pubblicitari sono quindi intervallati all’interno di una serie TV o di un film in streaming, come le tradizionali interruzioni pubblicitarie della TV lineare o via cavo , ma con l’ulteriore vantaggio di utilizzare analisi dettagliate e dati sugli spettatori per misurare le prestazioni degli stessi. Da ciò si evince quindi come un servizio come Amazon, che ha già disposizione un’analisi delle abitudini di acquisto dei suoi sottoscrittori basata sulla sua stessa piattaforma, sia destinata a diventare leader nel mercato, soprattutto se si considera che la maggior parte dei suoi sottoscrittori tenderà a mantenere il piano base con pubblicità più per gli altri vantaggi concessi dall’abbonamento Prime (consegne gratuite), che per Prime Video in sé.

Un altro aspetto interessante di questa nuova tendenza, come riportato da Variety, è che mentre per anni la TV via cavo e lineare hanno ospitato inserzioni pubblicitarie di servizi streaming nascenti, invitando sostanzialmente i consumatori ad usufruire delle offerte dei loro diretti rivali – come quando pubblicizzava programmi di Netflix durante il Super Bowl, l’evento sportivo più seguito negli Stati Uniti – gli streamer si troveranno ad affrontare una simile sfida, cioè accettare o meno di fare pubblicità alla concorrenza. E sebbene, di primo acchito, verrebbe da rispondere che sarebbe folle promuovere i propri rivali, bisogna considerare che esistono effettivamente delle eccezioni. Nella fattispecie, Netflix e Warner Bros. Discovery hanno per esempio annunciato un recente accordo che porterà serie della HBO come “Insecure“, “Ballers” e “Six Feet Under” su Netflix, per un periodo non ancora specificato, vien da sé che, in un caso come questo, la Warner Bros. Discovery trarrebbe sicuramente vantaggio dal fatto che Max trasmettesse annunci che promuovono quelle specifiche serie su Netflix.

Non ci sono più i servizi streaming di una volta

Il successo dei servizi streaming in sé non può essere messo in discussione. Sin dal lancio di Netflix – nel 2007 – l’impatto di queste piattaforme sulle abitudini dei consumatori ha avuto conseguenze enormi, cambiando completamente il panorama televisivo americano (ed internazionale) al grido di “cat the cord“, cioè la rinuncia al pagamento del salato abbonamento per la TV via cavo a vantaggio degli streamer. Con il proliferare dei servizi streaming, l’aumento dei prezzi degli abbonamenti mensili o annuali ed il blocco della condivisione delle password, i consumatori che in massa avevano abbandonato la TV lineare o via cavo in favore di queste piattaforme stanno cominciando a capire, letteralmente a loro spese, che la pacchia (ahinoi!) è finita.

È piuttosto divertente che i servizi streaming siano inizialmente stati presentati come un’alternativa alla TV via cavo – più economici! Niente pubblicità! – e a questo punto siano già diventati altrettanto costosi e pieni di pubblicità.

Il motivo per cui quasi tutti i servizi streaming, che erano nati proponendosi proprio come un’alternativa economica e senza interruzioni pubblicitarie alla TV via cavo, stiano introducendo piani a costo ridotto, ma con la pubblicità, è vecchio come il mondo: il profitto.

Includere annunci pubblicitari nei servizi di streaming non significa infatti solo che le aziende guadagneranno dalle normali tariffe di abbonamento dei loro clienti, ma anche dagli inserzionisti. Dal punto di vista aziendale, la mossa è sicuramente intelligente, poiché consente ad entrambe le società di raddoppiare le proprie entrate. Dal punto di vista del consumatore, tuttavia, non esiste modo di far passare la decisone in altro modo che non sia quella di voler spremere loro del denaro, cambiando completamente le regole del gioco e le premesse grazie alle quali erano stati attirati in primis su quelle stesse piattaforme. L’inclusione degli annunci pubblicitari andrà senza dubbio a beneficio di molte piattaforme, compensando per esempio le perdite di abbonati, ma è così manifestamente contro le esigenze dei consumatori che bisognerà vedere – nel lungo termine – come questi reagiranno prima che i gli streamer possano davvero cantare vittoria.

L’introduzione della pubblicità significa, di fatto, che tutti i servizi streaming hanno completamente mancato lo scopo per cui erano nati, dimostrando come il modello di business che proponevano non fosse affatto sostenibile. Nonostante poi facciano affidamento sul fatto che la maggior parte dei consumatori sia abitudinaria e, a fronte di evitare un aumento dei costi, sia disposta a sorbirsi la pubblicità introdotta, piuttosto che cancellare il proprio abbonamento, resta il fatto che includere pubblicità in servizi come Disney+, Prime Video, Netflix e chi più ne ha più ne metta, ne uccide l’attrattiva, riportando le lancette indietro nel tempo e tornando al medesimo modello di business che avrebbero dovuto originariamente sostituire. O almeno così dicevano.

La battaglia ora si gioca sui prezzi degli abbonamenti, con la maggior parte delle piattaforme che hanno aumentato quelli dei piani base senza pubblicità, dando ai consumatori la possibilità di accedere ad abbonamenti meno costosi ma con l’obbligo di sorbirsi le interruzioni pubblicitarie e solo il tempo ci potrà dire se i consumatori accetteranno questo cambiamento o cominceranno a liberarsi della sottoscrizione ad alcune delle molte piattaforme disponibili. Il vantaggio ed il rischio per i servizi streaming è evidente, ma è anche vero che, in un mercato già saturo a causa di un eccesso di offerte, non avevano altre alternative.

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